Rovigo campione d’Italia. Il Calvisano ha dovuto inchinarsi davanti a una squadra più quadrata, più determinata, anche se forse non in assoluto più forte. Ma le finali non si giocano, si vincono. E vincere era tutto quello che Rovigo voleva, dopo un’attesa durata 26 anni.
Joe Mc Donnell lo aveva capito da tempo: era per questo traguardo che a dicembre la società rossoblù aveva esonerato Frati e incaricato lui di prenderne il posto.
Il neozelandese ha tolto al gioco dei polesani tutto ciò che era inutile. “Nel campionato italiano non serve fare tanti fasi – aveva detto -, il gioco non scorre fluido e non ha ritmo come in altre competizioni. Bisogna fare poche cose, farle bene e raccogliere i punti che servono per vincere le partite che contano. La finale ha rispettato questo copione. I padroni di casa hanno meritato il successo perché, per almeno settanta minuti, hanno fatto meglio degli avversari tutto quello che serviva per assicurarsi la vittoria e il Calvisano non aveva le gambe per esplorarne i limiti tattici e di organizzazione.
La supremazia nelle fasi statiche, sia pure contenuta, ha permesso ai rossoblù di vincere la guerra di trincea, sulla quale entrambi gli allenatori avevano impostato il match.
La finale dei campioni uscenti è stata la sintesi della stagione: problemi e vicissitudini varie avevano impedito alla squadra di costruire una vero gioco d’attacco, del quale anche ieri sera si sono visti i limiti. Nel finale, quando i gialloneri hanno potuto beneficiare della superiorità numerica, per il giallo a Bernini, ci sono voluti più di sei minuti per sfondare, dopo che Raffaele si era fatto anche intercettare il pallone nel tentativo di giocarlo al largo a un passo dalla meta.
Rovigo in delirio anche troppo: a fine partita, l’invasione dei tifosi sul prato, per la premiazione dei vincitori si è trasformata in un incubo per i fotografi accreditati sul campo di gara: a qualcuno è andata peggio degli altri, gli è stata rubata tutta l’attrezzatura, per un danno di svariate migliaia di euro. Saranno stati anche 26 anni che in Polesine attendavano, ma questo non giustifica non saper contenere e organizzare né la festa, né le emozioni.