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L’epopea compie ottant’anni ma ne andrebbero aggiunti altri quindici, perché il nucleo fondatore dell’Associazione Sportiva Rugby Milano – per tutti semplicemente ASR – è quello dei goliardi fascisti, del Guf, di quella stagione un po’ nera che negli anni Trenta e Quaranta partecipa ai Littoriali, agli Agonali, che alterna gli studi (erano tutti di buona famiglia) ad avventure ai limiti della legalità. A seguire, per orgoglio e padronanza dell’ovale, da matricola, il Guf si trasforma in rivale dell’Amatori di Furio Cicogna, il pluriscudettato club che conoscerà anni di imbattibilità a cui metteranno fine proprio gli universitari.

Il simbolo del club è il cavallino a dondolo, ribattezzato Alessio e sottratto – pare – da casa di un diplomatico negli anni Trenta. A ergerlo a simbolo del club (e a collocarlo sotto i pali degli avversari) sono i goliardi del Guf Milano, i progenitori di questo club anomalo che dal 1945 resiste a tutto e tutti, senza prendersi troppo sul serio 

Nel 1945, pochi mesi dopo la Liberazione, ecco la fondazione del Rugby Milano, nel cui statuto – si tramanda – si vietava il tesseramento “a nazisti e giapponesi”. La squadra è un mix di repubblichini, partigiani, gente che aveva fatto la guerra nell’esercito regolare (assorbito poi dagli Americani), socialisti, democristiani. Il rugby evita qualsiasi disputa, mettendo tutti sullo stesso livello.

Inizia così il periodo d’oro con tanti nazionali come le terze linee Zanchi, Ricciarelli e Poidomani, i trequarti Gerosa, Zucchi, Martinenghi e un fuoriclasse a numero 15, Nando Barbini, forse il primo estremo del rugby italiano a sapersi inserire in attacco. Il bacino d’utenza è sempre la borghesia milanese, presidente e mecenate è Carlo Origoni, imprenditore nel ramo siderurgico, un gaudente che non si tira indietro a fare baldoria con i giocatori e a pagare di tasca propria le trasferte all’estero o l’ospitalità per i club in visita. È grazie a un viaggio a Londra che si “ingaggia” Yan Simpson, strepitosa apertura con cui il Milano arriva fino alla finale scudetto, persa contro le Fiamme Oro di Maci Battaglini nel 1958, e a due semifinali.

Dopo questi exploit ecco gli anni Sessanta, ma chi si aspetta il boom rimarrà deluso: tra il Giuriati e dintorni, non pervenuto. Si inizia infatti con quattro squadre meneghine in massima serie (Amatori, Rugby Milano, Diavoli Rossoneri e Sempione) ma dopo fusioni (con i Diavoli Rossoneri), cessioni del titolo sportivo (con il Cus Milano) e rovesci economici (per tutto l’ambiente), la città dilapida un patrimonio ovale fatto di scudetti (14), titoli giovanili, titoli riserve, impianti, club. Al via della stagione 1969/70, della capitale morale, in Serie A, non vi è traccia

L’anno della conquista della Luna (e di tante altre cose, va detto) si rivela decisivo anche per il Milano. La vecchia guardia – Ezio Cozzaglio, Giorgio Ricciarelli, Sergio Olivetti, Armando Pancaro e Saccani – rifonda il club ripartendo dalla giovanile. In pochi anni si arriva alla finale U19 contro il Tarvisium, ma è grazie a un ex Guf, GB Curioni, medico della Nazionale, che si inizia a fare sul serio. Lino Maffi, allenatore degli azzurrini, assume la guida tecnica e da una squadra come il Pirelli arriva nuova linfa: non solo gente fortissima come Micheloni e Agosti, o ex Amatori come Previtali, ma un rimescolamento delle carte con vecchi un po’ ligera e giovani un po’ fighetti a fare squadra. Con l’apporto delle giovanili, da cui arriva Bruno Franceschi, poi nazionale, e di un mediano di mischia australiano di rara bravura (Paul Dodds), il Rugby Milano targato Maa torna in Serie A (1980) e ci rimane abbastanza da trainare anche l’Amatori per ricomporre il più tradizionale dei derby. Sono anni di poule salvezza ma anche di gironi scudetto, di “imbarcate” da 61-0 a Treviso appena dopo capodanno a prestigiosi scalpi veneti. I biancorossi mantengono quell’etichetta di squadra simpatica, goliardica, corretta, che fa un bel gioco alla mano. Nel bene e nel male, un marchio di fabbrica.

Contro il Benetton, al Giuriati, nei primi anni Ottanta.

Purtroppo mentre l’Amatori viene innervata dai soldi della Polisportiva di Berlusconi, il Milano retrocede e per tutti gli anni Novanta vivacchia in Serie B. Si fa fatica perché il Milan intercetta i migliori giocatori per la prima squadra (Stefano Brolis e il povero Max Capuzzoni, entrambi via Lyons Piacenza, e poi Pietro Scanziani e Luca Chon) ma attira anche i migliori prospetti della giovanile. Il club resiste e si stringe intorno alle figure più carismatiche: il professor Curioni, che sarà presidente fino alla morte nel 2006, Francesco Azzolari, ex consigliere federale, Sergio Franceschi (padre di Bruno), Gabriele Cabrio (elettrauto e oste, non necessariamente in quest’ordine), l’allenatore Sergio Carnovali e, in campo, un neozelandese fortissimo come Yarnie Guthrie.

La festa per la promozione in Serie A nel 2011.

La retrocessione in Serie C nel 2009 scuote l’ambiente: nel giro di due stagioni l’Asr torna in Serie A (dopo 25 anni) e con Giorgio Terruzzi (e i rapporti con Mediafriends) si inizia a lavorare al carcere minorile Beccaria (dove passano perfino gli All Blacks dopo il sold out di San Siro nei test autunnali) e poi a Opera, Bollate. Nel 2011, mentre Jonah Lomu visita la sede sgangherata di via Valvassori Peroni, il consiglio direttivo vaglia un trasloco epocale. All’Idroscalo, “lago” dei milanesi, c’è una struttura bellissima soprannominata “La Villetta”, gestita dalla Provincia. I costi di manutenzione sono alti ma c’è la possibilità di mettere il sintetico, avere delle tensostrutture e gestire una club house con vista campo. Un sogno. La gara per la concessione è vinta in scioltezza, il resto della scommessa anche: Asr in pochi anni raddoppia i suoi tesserati (a oggi, quasi 700), riesce a tenere la categoria, spesso e volentieri come unica rappresentante della città. Avvia una partnership con il Benetton Treviso, ospita un clinic ufficiale degli All Blacks, organizza corsi, formazione, summer camp e uno dei tornei giovanili più importanti: il Capuzzoni. Ecco, era da Max negli anni Novanta che un biancorosso di formazione non vestiva la maglia azzurra. Dal 2012 in poi, tra seniores e giovanile, se ne contano diversi: Luca Morisi, Simone Ragusi, Simone Ferrari, Muhamed Hasa, fino ai giovanissimi Casartelli, Miranda e Redondi.

Clinic con lo staff degli All Blacks nella sede all’Idroscalo

Sessanta tecnici, quaranta volontari, un bar ristorante, 16 categorie, quattro squadre seniores, due Under 18, due Under 16, tre Under 14, fino alle Prime Mete dei quattrenni. Progetti sociali (carceri, scuole e “wheelchair rugby”) e policy di Child Safeguarding (primo club in Italia). Fiore all’occhiello è poi la Rugby School interna per ragazzi da 14 a 18 anni, che accompagna studio, sport e impegno sociale, una vera e propria Academy per formare qualche Ragusi e Morisi in più e per trasmettere loro quel senso di appartenenza, lealtà, amicizia e solidarietà che il club porta avanti quasi cento anni. C’è anche un claim che rivendicano. “A.S. Rugby Milano: prima brave persone, poi bravi giocatori di rugby”.

Nella foto del titolo una formazione dei GUF ai Littoriali del 1935

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