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Dopo aver emanato una serie di leggi per ottenere un gioco più sicuro, più veloce e più gradevole (?), World Rugby si sta concentrando sul suo nuovo fiore all’occhiello, il Nations Championship, frutto del calendario globale e in programma ad ogni anno pari a partire dal 2026. Ormai distante solo un soffio temporale.

Mettendo al bando il condizionale, la prima fase finale avrà come teatro Twickenham per il match decisivo e qualche altro impianto londinese per le altre partite di classificazione tra le dodici partecipanti a questa creatura che congloba 6 Nations e tour estivi: uno è il Tottenham Stadium, l’altro è lo Stoop, a un tiro di sasso dalla “cattedrale” della Rfu che, in questo momento, sta trattando con Allianz un accordo sulla base di 100 milioni di sterline.

Nel 2028 la sede sarà il Qatar, o meglio Doha che, per ospitare la Coppa del Mondo di calcio 2022, si è dotata di sei impianti di grande capienza a poca distanza l’uno dall’altro. A dir la verità il Qatar si era proposto come sede permanente avanzando un’offerta da 800 milioni di sterline. Alcune union, specie quelle dell’emisfero sud, sempre in affanno economico, si erano dette d’accordo, ma le avances del paese del Golfo Persico hanno trovato il parere negativo di Irlanda e Francia. Che spettacolo di pubblico, che colpo d’occhio può offrire il Qatar dove, per di più, vengono calpestati i diritti umani dei lavoratori stranieri? Un problema straziante che aveva occupato la lunga vigilia dei primi Mondiali di calcio giocati in inverno, senza ombra di boicottaggio.

Nel 2030 la scena ha forti chances di spostarsi negli Stati Uniti, per iniziare a “lanciare” la William Webb Ellis World Cup, assegnata per il 2031. Inutile sottolineare la potenziale importanza del mercato americano, non ancora coinvolto.

La frenetica moltiplicazione degli eventi, la fame di denaro che viene soddisfatta da chi ha in mano i cordoni della borsa: è lo scenario dello sport del nostro tempo, venduto e comprato, proposto con assillante continuità. Ci è finito dentro anche il rugby. Inevitabile e un po’ triste.

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