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Dunque la rielezione di Marzio Innocenti, protagonista del “miglior momento della storia quasi centenaria del rugby italiano” non era così scontata come nei giorni scorsi si era azzardato a scrivere qualcuno.

Primo presidente dell’ultimo mezzo secolo a non ottenere un secondo mandato, Innocenti ha ottenuto solo 18.151 voti, pari al 41,69%.

A batterlo è stato Andrea Duodo, primo presidente, lui sì, espresso dal Veneto in quasi cento anni rugby in Italia. Duodo ha ottenuto 24.345 voti, ossia quasi il 56% delle preferenze.

Evidentemente più dei risultati della Nazionale, che secondo il presidente uscente avevano fatto di lui “il più vincente nel triennio rispetto a tutti i suoi predecessori”, hanno pesato di Innocenti i limiti caratteriali, la sua divisività, l’incapacità di dialogo, la pretesa di essere un monarca assoluto, anziché un primus inter pares.

Ma tutto ciò non sarebbe bastato a rovesciarne il trono, costruito su una comunicazione uni direzionale, se non ci fossero state, reali, le difficoltà dei club, circa cento dei quali avevano perso, rispetto a tre anni fa, il diritto di voto alle elezioni: segno che in varie categorie non sono riusciti a svolgere nemmeno l’attività minima. E poi un campionato svilito nella visibilità, negli investimenti, nell’appeal, con i diciottenni che si traferiscono all’estero appena mostrano qualche qualità tecnica perché non credono nelle opportunità formative del nostro movimento ovale. Per non parlare del bilancio della Fir che viaggia in rosso profondo e ha letteralmente buttato dalla finestra 45 milioni di entrate straordinarie.

Duodo viceversa nella sua prima conferenza stampa da presidente federale ha sottolineato più volte la parola “progettualità”, “una progettualità – ha detto – da condividere con tutti gli interlocutori del movimento, con i club, con Gonzalo Quesada, l’allenatore della nazionale, che non conosco – ha confessato – né penso che lui conosca me. Ma del quale abbiamo condiviso gli obiettivi e del quale abbiamo sposato i progetti, i risultati li ha ottenuti, ci confronteremo con lui”. E ancora. “sulla formazione non c’è una soluzione sola, lavoreremo per fare sintesi delle diverse proposte, siamo qui per valutare tutte ogni idea d progettualità”.

Duodo ha promesso che i primi cento giorni serviranno per prendere possesso della macchina federale, conoscerla, analizzare la situazione e cercare nelle pieghe del bilancio le risorse necessarie per aiutare i club di base. “Ma la nostra sarà una gestione condivisa, ogni anno rendiconteremo la nostra attività negli Stati Generali ai quali parteciperanno tutte le società. Daremo conto di ciò che avremo fatto e riceveremo nuove istanze dalla base. Tra quattro anni non avremo bisogno di andare in giro a fare campagna elettorale, tutti sapranno come abbiamo lavorato e noi sapremo come ci giudicano. Quello della nostra squadra è un progetto a lungo termine, che si basa sugli obiettivi e sui risultati, non sulle persone. A portarlo avanti non sarà un uomo solo al comando e alle prossime elezioni, magari, sarà candidata una donna, perché le nostre idee marciano su più gambe”.

Sui campionati e sulla formazione: “l’obiettivo è ridare dignità a tutte le categorie, valorizzandole per quello che sono e nella tradizione di ciascuna, a prescindere dal nome o dalla sigla che la caratterizza. Quanto ai giocatori che stanno facendo bene in nazionale, sappiamo cosa c’è alle spalle e da dove viene la loro formazione. Semineremo per averne di nuovi, condividendo con il movimento le scelte e le strategie perché ne crescano anche in futuro”.

Insomma il nuovo presidente si offre al servizio della base: “per provare a fare del bene al rugby italiano”.

Progetto ambizioso, non c’è che dire, ma condividere anziché comandare pare il segnale di un nuovo avvenire.

Questo il nuovo consiglio: Paolo Vaccari, Erika Morri, Antonella Gualandri, Vittorio Musso, Fulvio Lorigiola, Gabriele Gargano, Antonio Luisi, Carlo Orlandi (tecnici), Leonardo Ghiraldini e Silvia Pizzati (giocatori).

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