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Andy Vilk, già allenatore dell’Italia Seven e internazionale inglese nella disciplina, parla del torneo di rugby alle Olimpiadi di Parigi e sottolinea l’importanza della specialità per la promozione del gioco e per lo sviluppo della tecnica individuale dei giocatori. Lo abbiamo intervistato per il numero 192 di Allrugby e riproponiamo qui le sue considerazioni alla vigilia dei Giochi. 

 

«Il torneo olimpico, a Parigi, sarà un magnifico spot per il rugby, non solo per il Seven, ma per tutto il nostro movimento in generale».

Andy Vilk, 43 anni, una quindicina dei quali trascorsi in Italia, dallo scorso autunno è il coach della Nazionale femminile Seven di Hong Kong.

Lo abbiamo raggiunto nell’ex colonia britannica mentre era in procinto di partire per il Principato di Monaco dove, dal 21 al 23 giugno, la sua squadra si giocava, nel repêchage, l’ultimo posto disponibile per il torneo olimpico che Parigi ospiterà dal 24 al 30 del mese di luglio (la formazione femminile di Hong Kong, purtroppo per Andy, alla fine non è riuscita a conquistare il passa per le Olimpiadi)

«Qui a Hong Kong ho trovato una sistemazione eccezionale – dice l’ex giocatore di Benetton e Calvisano, oltre 120 presenze nelle Sevens World Series con la maglia della Nazionale inglese -, abbiamo giocatori e giocatrici a tempo pieno, 30 uomini e 25 ragazze, e possiamo beneficiare delle strutture del HKSI (Hong Kong Sports Institute, ndr) dove c’è tutto quello che serve per preparare gli atleti all’alto livello. Paul John è l’allenatore capo degli uomini, io della squadra femminile. E poi Hong Kong è la culla del Seven, il torneo è il più prestigioso del circuito internazionale e io nel 2006, da giocatore, l’ho vinto con l’Inghilterra. Ma i ricordi non finiscono lì, perché dieci anni dopo ci sono tornato come allenatore dell’Italia e, il mese scorso, ho vissuto una nuova esperienza come head coach della squadra femminile di casa. Sono venute allo stadio le mie figlie Olivia e Cecilia, che hanno tredici e undici anni e hanno cominciato anche loro a giocare. C’è una grande passione, una grande atmosfera, per il Seven Hong Kong è un posto speciale».

Invece in Italia non siamo riusciti a farlo attecchire.

«Io penso che in Italia la qualità non manca, però bisogna giocare. Perché non è facile trovare gli automatismi per passare al Seven se sei abituato a giocare in quindici».

Dupont e Hugo Keenan non sembrano avere questi problemi…

«Keenan prima di approdare al Leinster e poi alla Nazionale irlandese aveva disputato due stagioni con l’Irlanda Sevens, dal 2017 al 2019. Un’esperienza sicuramente importante per il suo bagaglio tecnico. Dupont è il miglior giocatore del mondo, e tuttavia persino lui dice che il Seven gli offre una nuova prospettiva e la possibilità di migliorare il suo gioco».

Quali sono le caratteristiche principali che deve avere un giocatore di Seven?

«Intanto è una disciplina che richiede grandi abilità individuali, nel passaggio, nell’uno contro uno, sia in difesa che in attacco, tutto quello che fai lo devi fare a grande velocità. Devi essere molto preciso: sul punto d’incontro, per dire, quasi sempre arrivi da solo, quindi anche il posizionamento, il modo in cui contesti il pallone richiede un’attenzione particolare. E gli errori li paghi il doppio, perché, se sbagli, difficilmente c’è qualcuno, o c’è il tempo, per rimediare a quell’errore. Poi, certo, gli errori li fanno tutti, la cosa importante è come impari a reagire a quegli errori, tuoi o di un compagno. Quindi anche l’aspetto mentale diventa molto importante. E non ci sono tempi morti. Io quando passavo dal Seven al “quindici” spesso pensavo: adesso posso un po’ respirare. Mi sembrava di avere più tempo per pensare, i compagni sono più vicini, hai meno campo da coprire, mi dicevo. Mi illudevo che sarebbe stato più facile, poi nella realtà non era mai così (ride), però certamente se giochi il Seven, soprattutto da ragazzino, acquisisci una tecnica fondamentale».

Antoine Dupont sarà uno dei protagonisti dei Giochi di Parigi (foto_ Mike Lee – KLC fotos for World Rugby)

E poi si gioca tutto nel giro di due/tre giorni.

«Infatti, anche l’aspetto fisico non va sottovalutato. Si giocano 5/6 partite nell’arco di un week end. Devi essere bravo a recuperare le energie, fisicamente e mentalmente, devi imparare a staccare, archiviare quello che è stato, recuperare e ripartire, tutto nel giro di poche ore».

Cosa spieghi ai giocatori o alle giocatrici quando li (o le) prepari a questo tipo di gioco?

«Ognuno deve focalizzarsi sulle sue caratteristiche e imparare a gestirle in un contesto dove i compagni sono più lontani, i tempi di reazione ridotti al minimo. Dupont per esempio non ha bisogno di allenare un passaggio lungo, lo sa già fare perfettamente, Keenan ha la velocità e ha già alle spalle un’esperienza di Seven. È molto importante l’approccio mentale, vanno comprese la strategia e la tattica, devi capire bene come muoverti, come si muovono i tuoi compagni, perché non c’è tempo di parlare e fare grandi analisi mentre si sviluppa il gioco».

Chi vincerà le Olimpiadi?

«Risposta difficile. Il team GB maschile (quarto nel 2021, battuto nella finale per il bronzo dall’Argentina, ndr) non si è qualificato. Dopo Tokyo si è ripartiti da zero, con un progetto nuovo, un’intera struttura da ricreare intorno ai giocatori. E le Fiji, che, tra gli uomini, hanno dominato le ultime due edizioni (Rio 2016, Tokyo 2021, ndr), quest’anno nelle tappe di avvicinamento alle Olimpiadi non sono state particolarmente brillanti (il loro miglior piazzamento è stato il terzo posto a Città del Capo a dicembre, ndr). Sappiamo però quanto il rugby sia importante per loro, perciò chi può escludere che a Parigi ritrovino gli stimoli, la concentrazione per vincere ancora?

A livello femminile, Australia, Nuova Zelanda, Canada e Francia mi sembrano nettamente di un altro livello. La Nuova Zelanda ha vinto quattro delle sette tappe delle World Series e a tratti è parsa imbattibile. Ma molto dipende dallo spirito, dal clima che si crea nell’arco del torneo. Una cosa è certa: le Olimpiadi, a Parigi, accenderanno sul rugby i riflettori di tutto il mondo. Sarà un grande spettacolo, una grande occasione per far conoscere il gioco anche fuori dai circuiti abituali». (glb)

Nella foto del titolo: una meta del neozelandese Moses Leo nel match contro le Fiji nella terza giornata della HSBC SVNS Grand Final disputata allo Stadium Civitas Metropolitano di Madrd  Madrid, lo scorso 2 giugno. (foto Mike Lee – KLC fotos for World Rugby)

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