Finisce con una grande partita tra due squadre finora deludenti sul piano del gioco (Francia e Inghilterra) un Sei Nazioni all’altezza della migliore tradizione. Nel senso che molte partite si sono risolte con scarti bassi e il mancato rispetto dei pronostici ha messo il sale su una competizione che non ha uguali. Eccezionale, poi, la performance dell’Italia di Gonzalo Quesada, e facciamoci pure una ragione di un quinto posto che (si veda l’altro articolo sul sito di Allrugby) non premia abbastanza gli Azzurri: nelle due precedenti edizioni in cui la squadra era riuscita a vincere due partite – 2007 e 2013 – era arrivata la quarta posizione, mentre ora con due successi più un pareggio non si va oltre la penultima piazza.
Di più, fa specie pensare che, nel finale della partita con la Scozia, l’Irlanda capolista avrebbe potuto perdere con la formazione di Townsewnd, battuta sette giorni prima dagli Azzurri. Ebbene, se anche fosse successo, i giocatori dell’Isola Verde avrebbero vinto comunque il torneo e si sarebbe verificata una situazione ancora più strana: una squadra che si aggiudica il titolo con tre vittorie e due sconfitte (davanti alla Francia con tre vittorie e un pareggio) e un’altra, l’Italia, che si classifica quinta nonostante due successi e un pari.
Ma proprio da Irlanda e Italia parte un’altra riflessione, legata all’anagrafe. Finiscono sotto la lente d’ingrandimento e carta d’identità dei 23 giocatori – 15 titolari più 8 in panchina – messi a referto nell’ultimo turno dalla sei Nazionali, e andiamo a cercare i ragazzi nati dal 2000 in poi. L’Irlanda ne conta solo 2 (Crowley, del 2000, e McCarthy, del 2001), mentre l’Italia arriva addirittura a 12, oltre il 50% del totale. Ce ne sono quattro del 2000: oltre a Paolo Garbisi (primo rugbista della sua “leva” ad aver esordito nel Sei Nazioni, ormai quattro anni fa), Lucchesi, Lynagh e Ziliani. Il 2001 è rappresentato da Lorenzo Cannone, Favretto, Spagnolo e Varney, mentre del 2002 sono Menoncello (che nel 2022, a 19 anni e mezzo, è diventato il più giovane rugbista di sempre ad avere marcato una meta al Sei Nazioni), Marin, Pani e Vintcent. Utilizzati nel corso del Torneo, tra l’altro, altri tre ragazzi del 2000: Izekor, Zambonin e Mori, più Alessandro Garbisi del 2002.
Dopo gli Azzurri la squadra con più giovani è stato il Galles, arrivato a 9: il ragazzino in assoluto è Mackenzie Martin, nato il 26 ottobre 2003, e della sua stessa “classe” è Winnett, mentre del 2002 sono Grady, Dafydd Jenkins e Mann, del 2001 Costelow, Evan Lloyd e Ioan Lloyd, del 2000 O’ Connor entrato le finale contro l’Italia.
Riccardo Favretto e Andrea Zambonin, rispettivamente del 20001 e del 2000 (Foto Angelica Agosta/AllRugby)
Tra i francesi, nei 23 dell’ultima giornata, si contano Moefana (2000), Barré e Le Garrec (2002), Bielle-Barrey e Depoortère (2003), ma va ricordato che nelle partite precedenti, Galthié aveva utilizzato anche Posolo Tuilagi del 2004. Quattro della generazione Z nell’Inghilterra schierata a Lione – Dan e Chessum del 2000, Freeman e George Martin del 2001 – e due nella Scozia ha dato filo da torcere all’Irlanda a Dublino: Ashman e Darge, entrambi del 2000. Insomma, mettendo insieme tutti i nati nel nuovo millennio scritti a referto da Francia, Inghilterra, Irlanda e Scozia nell’ultimo week end del Sei Nazioni si arriva a quota 13, soltanto uno in più rispetto allo score dell’Italia da sola.
Un dato incoraggiante, senza dubbio, anche facendo a meno di pensare alle promesse che in questo momento giocano in Under 20. Soprattutto, questa fioritura di giovani consente fin d’ora alla Nazionale maggiore di poter contare su alternative importanti in parecchi ruoli. Per fare qualche esempio, Lorenzo Cannone e Vintcent come numeri 8, Fischetti e Spagnolo come piloni sinistri, Garbisi e Marin all’apertura (senza dimenticare Allan, naturalmente), Ale Garbisi in aggiunta a Varney e Page-Relo per la maglia numero 9, Capuozzo e Pani nella posizione di estremo. Un altro patrimonio portato in dote all’Italia da questo Sei Nazioni.
la foto di apertura è di Ryan Hiscott/Federugby via Getty Images