Dopo aver metabolizzato (forse…) la sconfitta subita nei quarti di finale dal Sudafrica, Fabien Galthiè, alla prima uscita pubblica, spiegò all’Equipe che in base a complicati grafici e a tabelle di analisi del gioco la Francia, allo Stade de France, quel giorno di ottobre, avrebbe dovuto battere gli Springboks 37-24. Questo diceva, infatti, la sofisticata elaborazione dei computer e dei relativi “punti aspettati”.
Nel numero 186 di Allrugby, Luciano Ravagnani riprese queste parole del ct dei Coqs, sottolineando il tema dell’efficacia. “A causa di errori umani “inaspettati” – scrisse Ravagnani-, il computer non può decidere le partite, soltanto indirizzarle. Alla fine resta il rugby, un gioco collettivo fatto da individui, difficile, unico, senza tempo. Con un pallone ovale, un arbitro (ora sostituito da un occhio televisivo), un terreno erboso calpestato e tanti elementi estranei”.
Come spiegare altrimenti il risultato del match di Lille, per il quale lo stesso Galthié, alla fine del match non aveva parole sufficienti? Allo Stade Pierre Mauroy, a metà gara, la Francia aveva avuto il 56% di possesso, lo stesso del drammatico (per gli Azzurri) match di Lione e addirittura il 77% di territorio. In pratica nel corso dei primi 40’ si era giocato in una metà campo sola.
Ma a Lione il primo tempo era finito 31-0, a Lille 10-3. Elencandogli questi numeri, il ct dei Bleus, annuiva e scuoteva la testa, “lo so, per noi è penoso”, diceva. Senza mancare però di fare i complimenti all’Italia che sulla propria linea di meta aveva costruito una Maginot invalicabile per suoi.
Certo, tantissimi errori dei francesi, ma anche una difesa di straordinario sacrificio da parte degli Azzurri, che chiuderanno il match con 178 placcaggi, più dei 162 di Lione, ma con una percentuale del successo dell’84% contro il 78% della partita dei Mondiale. Senz’altro, da parte dell’Italia una grande prestazione atletica, migliore certamente di quelle esibite durante la Coppa del Mondo. Ma anche forse una maggior forza mentale, una convinzione e una coesione di intenti superiore a quella degli ultimi mesi. La crescita delle due franchigie, sicuramente ha una parte in questa storia. Ma basta questo dato a spiegare la differenza fra i due risultati e quel margine di 53 punti a favore dei Coqs che a Lille si è ridotto a zero?
Una carica di Posolo Tuilagi, con Ollivon i sostegno, accorre Fischetti mentre Nacho Brex viene scavalcato a terra (foto Julien Poupart-FFR)
Efficienza abbiamo detto. Lamaro li chiama “piccoli dettagli” che alla fine modificano radicalmente le cose. A Lione l’Italia concesse 12 calci di punizione contro i 6 degli avversari. A Lille il conto è stato 12-12. E a questi numeri va aggiunto il “giallo” a Danty, poi trasformato in “rosso “dal bunker: Francia in 14 nei secondi quaranta minuti.
I calci di spostamento tattico: Quesada aveva preparato la partita con l’obbiettivo di non regalare palloni all’attacco francese, ma cercando piuttosto di conservare un possesso che sapeva prezioso. Ai Mondiali, però, la squadra di Crowley in tutta la partita aveva calciato solo 13 volte, a Lille 22 superando i metri guadagnati dai francesi (600 vs 566). A ottobre con il gioco al piede la Francia aveva più che doppiato l’Italia 993 metri contro 403.
Dunque efficienza: una difesa solidale, generosa, disposta al sacrificio; calci di liberazione effettuati con più senno e chirurgica precisione rispetto al match di Lione. Le uscite dai nostri 22, aspetto sul quel Quesada ha messo l’accento fin dal primo giorno del suo arrivo in Italia, non tutte sono state ancora di buona esecuzione, qualche pallone perso, un turnover concesso proprio vicino ai nostri pali.
Francia per contro meno precisa che al Mondiale: ha commesso sei falli in più e un subito rosso; ha guadagnato il 40% in meno di territorio con il piede (Jalibert fuori dopo poco più di mezzora, Coqs senza apertura di ruolo nei successivi 45 minuti); ed è stata troppo ostinata nel cercare di sfondare con la forza dei suoi pesi massimi Atonio, Tuilagi, i Taofifenia. Ai francesi, oltre all’incapacità di trasformare in punti il dominio di territorio del primo tempo, è mancato un Piano B, aggirare il muro difensivo degli Azzurri usando i sostegni, sfruttare linee di corsa meno prevedibili, i chili hanno cancellato il “French flair”.
La tabella qui sotto mostra i dati dell’attacco delle due squadre (Italia nella colonna destra), i numeri si equivalgono, salvo quello di difensori battuti: 33 per la Francia, solo 11 per gli Azzurri.
Les Bleus hanno messo a segno una meta sola (peraltro assai controversa) nonostante abbiano superato l’avversario diretto in più di un’occasione. La Francia è la squadra che nelle prime tre giornate ha battuto più difensori (70) ma ha segnato solo 5 mete (una ogni quattordici avversari elusi, è la media peggiore del torneo, torna il concetto di efficienza). L’Irlanda segna una meta ogni sei avversari superati, la Scozia una ogni sette anche se di avversari ne supera pochi (49 in tutto), il Galles una ogni 8,5. L’Italia è quella che ne batte meno (47 in totale) e segna meno (4 mete in tutto, una ogni 11,5 avversari superati).
La voce “attacco” non mostra ancora da parte degli Azzurri la stessa efficacia della difesa.
“Il risultato del primo tempo, non è stato un miracolo, ma il frutto del nostro lavoro durante queste settimane – ha detto Quesada dopo la partita -, nel secondo abbiamo costruito buone sequenza di attacco, con una magnifica meta, al cospetto di una squadra molto forte, molto dura, e siccome conosco bene la potenza della Francia, e come reagisce quando è sotto pressione, un palo non può cambiare la mia analisi, sono fiero e orgoglioso di questa squadra”. Scozia e Galles i prossimi esami.
Nella foto del titolo (Federugby/Federugby via Getty Images) una presa in touche di Niccolò Cannone