Sabato 10 febbraio, stadio di Twickenham, è il 35’ minuto del primo tempo di Inghilterra-Galles. L’arbitro ferma il gioco, richiama Ollie Chessum appena rientrato dai dieci minuti di sin bin. “Devi uscire, il tuo paradenti ha segnalato che hai subito una concussion”. L’audio dell’arbitro arriva al telecronista e attraverso di lui a tutti gli spettatori. Il paradenti, davvero?
Martedì 20 febbraio, impianto Giulio Onesti, Acqua Acetosa, Roma, sta per iniziare la prima seduta di allenamento sul campo degli azzurri in vista di Francia-Italia, terzo appuntamento del Sei Nazioni. Il preparatore atletico Alessandro Gerini ha la mano destra protetta da un guanto di nitrile. “Si è fatto male?”. “No è perché deve distribuire i paradenti”. Accanto a lui c’è una valigia nera aperta in verticale, dentro tante scatole con i nomi dei giocatori, hanno una luce verde accesa, sono i paradenti degli azzurri. E sono sotto carica perché al loro interno contengono un microchip. Alta tecnologia a protezione della salute dei giocatori. E non solo.
“Quello della concussion è un problema molto importante – dice Roberto Alessandrini, medico della squadra azzurra – e noi su questo siamo in prima linea da moltissimi anni. Io me lo ricordo Vincenzo Ieracitano, consigliere federale e medico della nazionale, andare in giro a tutte le riunioni della World Rugby e dell’Irb perché fossero stabiliti protocolli precisi a salvaguardia degli atleti. E mi ricordo anche i no che raccoglieva e lo scetticismo di molti. Invece i danni per il mancato trattamento dei colpi alla testa cominciavano già a essere certificati”. E nel 2020 quasi trecento ex giocatori hanno avviato una causa collettiva contro World Rugby, la federazione inglese e quella gallese per danni permanenti dovuti a colpi alla testa reiterati non trattati nel modo giusto.
Così World Rugby è corsa ai ripari chiedendo agli arbitri di punire ogni placcaggio pericoloso, sanzioni sempre più severe culminate, nell’ultima Coppa del Mondo in Francia, con l’istituzione del bunker, il super Tmo a cui rimandare i casi in cui il semplice cartellino giallo poteva essere trasformato in rosso.
Poi nel Sei Nazioni di quest’anno è scattato l’obbligo del paradenti con il chip. Ma come funziona? Un’accelerazione improvvisa della testa viene registrata dal microchip che invia un segnale al computer del medico della squadra. A quel punto sta al medico richiamare il giocatore, ma nel caso non lo facesse si assume tutte le responsabilità, senza contare che i dati poi vanno nel cloud, a disposizione di tutti, quindi anche dei giudici sportivi del Sei Nazioni che possono intervenire con sanzioni e l’applicazione del protocollo più severo per il giocatore. “Lo facciamo usare anche in allenamento perché questo crea i presupposti per evitare la sospensione da concussion”, dice Alessandro Gerini. Un esempio per capire meglio. Nel gruppo squadra il paradenti con il chip c’è chi lo usa di più e chi meno (magari se lo scorda, magari dà noia, magari non funziona o è arrivato più tardi). Viene stilata una classifica fra tutti i giocatori fra chi lo usa di più e chi di meno, i due risultati migliori vengono scartati, dal terzo in poi si fa la media. Se un giocatore subisce un colpo in partita ed è stato sopra la media nell’utilizzo del paradenti durate la settimana, allora superato il test a bordo campo può rientrare e non subisce lo stop di almeno 21 giorni previsto dalle norme. Se invece è sotto la media di utilizzo e non supera il test dopo la concussion non rientra in campo e sta fuori per tre settimane.
“Non solo, il dato del paradenti può anche servirci per contestare eventuali decisioni dei medici di campo”, spiega il dottor Alessandrini. E chiarisce: “Metti che sia indicata una concussion che invece il chip non ha rilevato e che il nostro atleta sia inviato alle prove a bordo campo (domande, parole e numeri da ricordare, camminate lungo le linee) e non le superi totalmente (alcune sono davvero assurde) con i dati possiamo contestare la decisione e far rientrare comunque il nostro atleta”.
Quello che ancora non è ben chiaro è se il paradenti tecnologico possa anche servire all’arbitro, o al bunker, a prendere la decisione giusta in caso di scontro fra due giocatori, ovvero se il dato del paradenti di chi si presume colpito possa essere usato per le sanzioni all’avversario, o per smentire un’eventuale decisione arbitrale.
Nell’immagine di apertura uno dei paradenti con microchip in dotazione ai giocatori della nazionale (Foto Angelica Agosta/AllRugby)