E con le mani, e con le mani e con i piedi…
Cosa è cambiato nel gioco dell’Italia con il passaggio del testimone da Kieran Crowley a Gonzalo Quesada?
Per provare a capirlo abbiamo messo a confronto le due partite disputate dagli Azzurri contro l’Inghilterra: quella dell’anno scorso a Twickenham (31-14 per i padroni di casa) e quella di quest’anno a Roma (24-27).
Le statistiche dicono che a Roma, l’Italia ha giocato molto meno: ha avuto meno possesso rispetto al confronto con lo stesso avversario l’anno prima (44% contro 52%), ha mosso meno palloni, ha conquistato meno metri palla in mano, ma quello che ha fatto lo fatto meglio e con più precisione. La tabella qui sotto evidenzia alcuni dati.
All’Olimpico gli Azzurri hanno corso meno palla in mano, hanno battuto meno difensori, hanno effettuato meno passaggi e, concedendo più possesso agli avversari, sono stati costretti a placcare di più (162 placcaggi contro 125 dell’anno precedente). Però, sia in attacco che in difesa, sono stati più efficaci: hanno segnato tre mete, contro le due del 2023, e ne hanno concesse due soltanto contro le cinque che l’Inghilterra marcò un anno fa. Inoltre la percentuale di successo in difesa, nonostante il numero maggiore di placcaggi, quest’anno è stata superiore.
“Non siamo tristi perché abbiamo mostrato carattere e passione e, a tratti, quello che sappiamo e possiamo fare se abbiamo palloni di qualità”, ha detto Quesada dopo il match.
Parliamo dunque di efficacia: fare un po’ meno, farlo meglio, soprattutto farlo nelle aree del campo dove conviene di più. L’Italia nelle due partite, nonostante un possesso diverso, ha avuto la stessa percentuale di territorio: 41%.
Vuol dire che Twickenham la squadra ha spesso giocato dove gli conveniva meno, ha percorso metri, ma lontano dalla linea di meta avversaria.
Il nuovo ct lo aveva detto fin dal giorno della sua presentazione: migliorare le uscite dal nostro campo, attaccare sì, ma cercando di rischiare meno.
Crowley partiva più o meno da un presupposto simile a quello del nuovo ct: l’Italia non ha il peso e la consistenza fisica per reggere troppo a lungo gli assalti frontali degli avversari. La sua filosofia pertanto era quella di controllare il più possibile il possesso del pallone, a costo di attaccare sempre e dovunque, in modo da non regalarlo agli attaccanti delle altre squadre. Voleva palloni rapidi dalle ruck per sfruttare la velocità dei suoi uomini, più che la loro forza muscolare.
Ed ecco un paio di differenze sostanziali tra la partita di Roma e quella del 2023: in quest’ultima gli Azzurri hanno impostato 70 ruck contro le 106 di un anno fa. Ma il dato più significativo è che Twickenham il pallone uscì dai raggruppamenti in meno di 3” il 79% delle volte, cosa di cui presero accuratamente nota gli All Blacks segnalandolo come un potenziale segnale per loro di pericolo prima del match dello scorso autunno a Lione.
Quesada ha messo la sordina al cronometro: non sempre è utile accelerare. All’Olimpico i palloni usciti in meno di 3” sono stati solo il 45,8%. Il messaggio è chiaro: se la palla ce l’ho io posso anche decidere di rallentare piuttosto che sfinirmi in una corrida in cui rischio di finire per fare il toro. Accelero solo quando mi conviene, e quando lo faccio devo farlo bene, come in occasione della spettacolare meta di Allan.
Le noti dolenti: il gioco al piede.
Sia quest’anno, che un anno fa, gli Azzurri hanno concesso all’Inghilterra un vantaggio superiore ai 250 metri complessivi nel gioco al piede.
“Nel secondo tempo ci hanno fatto giocare dove e come volevano loro”, ha spiegato Quesada. Che ha migliorato la strategia, la tattica, la precisione, ma ancora non ha potuto cambiare l’efficacia di alcuni gesti individuali. “Ci lavoreremo”, ha detto. A rugby si gioca, infatti con i piedi e con le mani. Lui lo sa bene e lo sapeva fare. Gli assedi si fanno sotto le mura del nemico, partire da troppo lontano stanca e non sempre è necessario.