Rassnaber, la creatura frankensteiniana (o frankenstiniana) che ha conquistato la quarta Coppa del Mondo, lascerà il Sudafrica per l’Irlanda, non è noto se in compagnia o meno di Frau Blucher: Jacques Nienaber, il più illustre dei luogotenenti, al Leinster che ultimamente non ha arricchito la collezione dei trofei; Rassie Erasmus – la voce è questa – a prendere il comando dello stato maggiore inglese dei verdi, molto delusi.
Erasmus conosce l’ambiente (nel suo passato, l’essenziale, duro, irriducibile Munster) e sa quel che deve fare per Australia 2027. Il fatto di avere a portata di voce il suo primo collaboratore non potrà che rendere sempre più proficui i suoi progetti, le sue invenzioni che esulano dal territorio della follia. Erasmus è un pragmatico che bada al sodo e al massimo concede bizzarrie retoriche. Quanto alla strategia, è per una semplicità quasi scarna, che pesca in antiche radici: come in un episodio biblico, come in un mito classico, gli All Blacks sono diventati di sale e di pietra. E i loro occhi attoniti erano spenti.
Qualcuno azzarda che Rassnaber abbia anche avuto fortuna: tre incontri decisivi, do or die, vinti tutti per un punto, due volte rimontando, una volta venendo rimontati. Mai capitato. Ora è capitato.
Il sipario si è chiuso e per i neozelandesi si è strappato. Addii e ultimi hurrah di chi con questa Coppa del Mondo del 200° anniversario ha finito e basta e di chi, dopo aver deciso di chiudere con la propria Nazionale, andrà ancora un po’ in giro a raccogliere qualche quattrino: in questo senso il Giappone delle corporazioni è prodigo (Kieran Crowley guiderà… la Honda) e in Francia non vedono l’ora di accogliere guerrieri anche un po’ stagionati, come Sam Whitelock che andrà a Pau, bellissima città ai piedi dei Pirenei.
Last haka per il vecchio Sam dalla barba ingrigita, per Aaron Smith, Brodie Retallick, Richie Mounga, Dane Coles e per Ian Foster, indeciso tra la rabbia e la commozione..
E’ un elenco che non ha l’ambizione di essere completo, definitivo: forse qualcuno sta ancora meditando. Di certo c’è che si è chiusa l’avventura in rosso dragone per Dan Biggar e per Leigh Halfpenny, facili ormai a incrinarsi come cristalli ed è stata scritto il the end sulla lunga saga in verde trifoglio di Johnny Sexton, al suono di una di quelle ballate tristi che narrano storie grame della sua isola bella e dannata.
E prossimi al distacco sono Dan Cole, il pilone dei Tigers e della Rosa che – lo ha scritto sul volto segnato, sul cranio che l’aspetto di una mappa – ha sempre fatto il proprio dovere in lunghi anni di allacci, spinte, protezioni, duelli; Ben Youngs dall’eterna espressione sbarazzina che ha fatto in tempo a scavalcare Jason Leonard; Duane Vermeulen, il vecchio Thor che ha martellato in Sudafrica e Irlanda, e Deon Fourie, l’adattato che ha tenuto il campo con la passione e il coraggio di un ragazzo.