“Siamo qui per vincere il mondiale. Questa è una partita sulla strada della vittoria”, dice Anton Lienert-Brown, alla bisogna centro o ala degli All Blacks. Eppure. Eppure c’è chiara la sensazione che i neozelandesi abbiano paura dell’Argentina. E più che dell’Argentina dei fantasmi delle semifinali, non ultima quella di quattro anni fa persa contro l’Inghilterra, quella del ghigno di Farrell durante la Haka. Non è un caso se nei giorni scorsi in campo con la squadra che si stava allenando è andato anche Dan Carter, l’apertura dell’ultima Coppa del mondo vinta, Inghilterra 2015. “Sì ci sono stati incontri con vecchi giocatori ed è importante scambiare opinioni, fare tesoro della loro esperienza”, dice Ian Foster, capo allenatore degli All Blacks. “La sola presenza di Dan Carter in campo ha un effetto positivo su tutti noi”, dice Damien McKenzie.
Su trentasei volte che si sono incontrate Argentina e Nuova Zelanda i Pumas hanno vinto solo due volte, ma la seconda, un anno fa, in casa degli All Blacks, a Christchurch (18-25). Una cosa che fa pensare, che mette dubbi. Poco importa se la settimana successiva la Nuova Zelanda ha cancellato i Pumas con un perentorio 53-3, e se quest’anno, in Argentina gli All Blacks si sono ripetuti con un 41-12.
“Questa è una semifinale – dice ancora Ian Foster – e entrambe le squadre hanno la possibilità di vincere”. Lo dice un po’ perché lo pensa un po’ perché vorrebbe esorcizzare questo sottile fastidio che traspare dalle sue parole. Era al fianco di Steve Hansen quando a Yokohama l’Inghilterra aggredì e beffò la Nuova Zelanda in semifinale, 19-7, uno shock. “Non guardiamo dietro di noi, ma davanti. Siamo felici di essere qui, ma anche questa è una finale, se perdiamo siamo fuori”. Ancora Foster. Gli fanno notare che rientra Facundo Isa. “Buon cacciatore di palloni – dice – grande giocatore”. Lo spettro più grande è quello che non riesci a controllare in campo, le sbavature in un placcaggio, la disciplina. Contro l’Irlanda due gialli che rischiavano di compromettere tutto. “La disciplina è stato il nostro focus per tutta la settimana, gestire i gialli non è facile, non possiamo permettercelo”.
Contro l’Irlanda i 30mila irlandesi sugli spalti hanno fischiato e coperto di urla la Haka, il momento in cui gli All Blacks si caricano per affrontare gli avversari. “Il pubblico non si può controllare durante la Haka, ma se posso essere sincero non è che mi dia noia, anzi non me ne accorgo nemmeno, non mi tocca, sono concentrato su quello che devo fare, sulla partita”, dice McKenzie. Lui nel 2019 non c’era, non ha fantasmi sotto il letto. Guarda i giornalisti e fa quel mezzo sorriso di quando piazza.
Nella foto il ghigno di Owen Farrell davanti alla Haka prima di Inghilterra-Nuova Zelanda, semifinale della Coppa del mondo 2019