Alla soglia dei 60 anni l’allenatore, Andrea Cavinato, nato a luglio 1963. Vicina al mezzo secolo, che compirà l’anno prossimo, la società, il Rugby Vicenza super-sponsorizzato Rangers. L’unione è avvenuta all’inizio della stagione appena conclusa e ha dato ottimi frutti. Anzi, a essere precisi, ha regalato una primizia assoluta: una squadra di Vicenza promossa nel massimo campionato. Mai successo.
Partendo dall’ultima partita, dalla finale promozione contro una Lazio fino ad allora imbattuta e, anzi, sempre vittoriosa in stagione: addirittura con 100 punti in 20 match nel proprio girone, il che significa non avere mai mancato non solo il successo ma neppure il punto di bonus per le mete segnate, e con due vittorie convincenti nella semifinale con Parabiago. Imbattuta e imbattibile, si sarebbe detto, fin quasi a metà della ripresa del match decisivo, che la squadra romana conduceva 18-3 dopo aver chiuso la prima frazione sul 15-3. Succede, poi, che il Vicenza non solo segna la prima meta, con Tommaso Nicoli, ma soprattutto da quel momento inizia a dominare, con possesso e territorio totalmente a suo favore. Ci sono due punizioni “di avvicinamento” di Pedro Mercerat (schierato apertura, anziché estremo, per sostituire il n. 10 titolare Marco Marin) e, nonostante i minuti che passano, si sente che sul 16-18 il sorpasso è vicino. Infatti a tre minuti dalla fine è proprio il capitano Pietro Piantella (terza linea e neo-ingegnere) a segnare in bandierina la meta che apre la porta della Serie A Elite.
Una contesa che ha cambiato faccia: un’ora per i biancocelesti e 20 minuti, quelli decisivi, per i biancorossi occasionalmente in maglia scura. Inspiegabile? Nemmeno un po’, a sentire Cavinato: “Con Francesco Minto (si veda la sua intervista in queste pagine, ndr) e con il preparatore atletico Alessandro Gerini, che è anche nello staff della Nazionale maggiore, abbiamo studiato le partite, prima dei Cavalieri Prato, che abbiamo superato nei due match di semifinale, e poi della Lazio. Due squadre che arrivavano dal girone del Centro-Sud. Abbiamo riscontrato che nelle partite più importanti c’era una differenza di sette-otto minuti (da 32-35 a 25-27) nel tempo medio effettivo tra il nostro girone, tutto di squadre venete più il Romagna, e quello delle nostre due avversarie. Di più: nel corso della stagione la Lazio aveva segnato le quattro mete valide per il bonus offensivo già nel primo tempo, mentre noi, oltre ad aver perso due volte, avevamo vinto diverse partite con fatica, nel finale. Abbiamo notato anche che la Lazio era abituata ad attaccare continuamente, in forza di un grande possesso, e di conseguenza avrebbe potuto trovarsi in difficoltà se costretta a difendersi. Noi sapevamo che sarebbero andati a mille nel primo tempo, perciò abbiamo cercato di contenerli per poi alzare il ritmo nella ripresa. Nell’intervallo avevamo anche corretto il tiro, ho detto ai ragazzi di smettere di calciare e mantenere il possesso del pallone, impostando un gioco multifase. Li ho visti concentrati: sguardi intensi, testa alta e convinzione di poterla ribaltare. Tra l’altro, nella finale il gioco effettivo del primo tempo è stato solo di 13 minuti, mentre nel secondo tempo si è saliti a 18”.
Però, proprio nell’ultimo di quei 18 minuti avete rischiato di rovinare tutto, trovandovi a difendere una penaltouche con due uomini in meno per altrettanti cartellini gialli…
“Vero. Ci siamo complicati la vita nel finale dopo avere rimesso in piedi la partita. Loro sono stati molto bravi a rubarci una touche (con lancio in attacco per il Vicenza, ndr) e noi siamo stati poco disciplinati, abbiamo commesso falli stupidi ritrovandoci prima in 14 e poi in 13, senza i due piloni. A quel punto sono state micidiali la nostra volontà di non subire meta e la difesa a terra nell’ultimo drive, dopodiché, certo, anche il fattore fortuna è stato dalla nostra parte”.
La squadra aveva iniziato la stagione con una rosa molto ridotta.
“Di fatto erano 24 giocatori, poi siamo arrivati a 28 con qualche innesto, come quello di Lapo Frangini, tallonatore arrivato come permit player dal Benetton a poche partite dalla fine della stagione regolare. L’età media è bassa, anche perché ci sono solo tre giocatori oltre i 30 anni e avevo inserito in rosa quattro ragazzi appena usciti dall’Under 19: uno, il primo centro Erik Scalco, ha giocato quasi tutti i match da titolare. Più o meno la metà delle forze a disposizione è di Vicenza e provincia, a livello giovanile si lavora sulla qualità, facendo rete con le altre società del territorio. Quattro elementi arrivano da Treviso, tre da Padova, gli stranieri “veri” sono tre. Mi ha stupito molto la qualità dei giocatori, per le abilità tecniche notevoli, la caparbietà e la voglia di vincere, la serenità con cui si preparavano. Stavano bene insieme ed è stato piacevole allenarli. Ci ha sempre entusiasmato la loro capacità di credere nelle possibilità di successo. Oltretutto, essendo pochi, abbiamo lavorato per evitare il contatto il più possibile, in modo da limitare gli infortuni. E i ragazzi si sono adattati sempre a una metodologia a cui non erano abituati. Posso dire che è stata per tutto l’anno una squadra felice, capace di rispondere agli stimoli e disponibile verso le cose nuove che proponevamo”.
Ad esempio? “Con Francesco e Alessandro abbiamo impostato un gioco basato sulla velocità e sull’innalzamento del ritmo. Velocità e fisicità rendono questo sport appetibile, divertente, spettacolare: vanno incontro ai gusti del pubblico”.
Adesso arriva una nuova sfida: tradizionalmente non è mai facile per una neopromossa, in più l’anno prossimo le partecipanti al massimo campionato si riducono a nove e le retrocessioni salgono da una a due…
“Sarà una stagione molto dura, da studiare in modo accurato a tavolino, per capire dove e come si potranno fare punti. Sappiamo che il campionato è diviso in due tronconi. Cinque squadre hanno budget, roster e staff tecnici molto superiori alle altre quattro. Penso che ci giocheremo la salvezza con Mogliano, Lyons Piacenza e Viadana. Però affrontiamo questo impegno con la consapevolezza di avere alle spalle un vero mecenate locale, non solo del rugby ma di diversi sport: parlo di Luigi Battistolli, che poi è il titolare della Rangers, un’azienda molto nota a Nord-Est per l’attività nel campo del trasporto valori e dei servizi di vigilanza. La squadra sarà rinforzata e attrezzata grazie a un aumento molto consistente delle risorse. Siamo gli ultimi arrivati, entriamo in punta di piedi, ma vogliamo provare a non fare le comparse”.
Così parlò Cavinato, che – considerando anche le prime esperienze, quando ancora giocava e cominciò ad allenare i più piccoli – ha all’attivo oltre 35 anni da tecnico. Ha vinto due scudetti “assoluti” con il Calvisano, due titoli Under 20 con il Benetton, conquistato anche due promozioni nella massima serie (prima di Vicenza, ci riuscì con Silea), tre Coppe Italia, due Supercoppe “e – aggiunge lui – anche due trofei nazionali dei Giochi della gioventù con Casale, a voler citare proprio tutto”. Tra le “panchine” praticate a livello di club, ci sono pure Petrarca e Parma, oltre a quella della franchigia targata Zebre. Poi c’è il capitolo azzurro con le Nazionali Under 17, Under 19 e Under 20 (quest’ultima anche nel Sei Nazioni e in cinque edizioni dei Mondiali di categoria), più gli Emergenti. A Vicenza è arrivato dal VII Rugby Torino (Serie A), dove era direttore tecnico, con Franco Properzi allenatore.
Una sfilza di incarichi, di rapporti non sempre facili, una carriera di livello, che forse poteva arrivare ancora più in alto. A guardarsi indietro, c’è qualche rimpianto?
“Con il senno di poi è facile dire che si poteva fare così o colà. Uno dei miei più grossi rammarichi è quello di non avere accettato il ruolo di assistente che John Kirwan mi aveva proposto nel 2003, quando era diventato il ct della Nazionale maggiore. Non mi sentivo pronto per quell’incarico e rimasi con l’Under 20. Quanto al resto, mi spiace per la nomea che mi porto dietro, quella di essere “turbolento”. Quasi sempre a fare queste affermazioni sono persone che non mi conoscono, e io penso che la nomea non corrisponda alla verità. Ho lavorato molto sul mio carattere e continuo a farlo. So di essere stato estremamente diretto in molte occasioni, ma una cosa è essere diretti, un’altra essere aggressivi e maleducati”.
Nella foto la squadra del Vicenza il giorno della promozione in Serie A Elite