Promossi e bocciati del torneo in Sudafrica
di Gianluca Barca
Un lungo sospiro di sollievo ha salutato la vittoria dell’Italia con il Giappone. Successo che ha permesso agli Azzurri di rimanere nell’Elite giovanile internazionale, evitando un’imbarazzate retrocessione.
Nel giro di quindici mesi, la U20 di Massimo Brunello è passata dai successi sull’Inghilterra (Sei Nazioni e U20 Summer Series 2022) e dal terzo posto nel Sei Nazioni 2023, un traguardo mai conquistato prima, a una Coppa del Mondo piena di ostacoli e difficoltà.
Non dimentichiamo peraltro che sempre nell’ultimo Sei Nazioni, i giovani Azzurri avevano mancato di un soffio la vittoria sulla corazzata francese, sfuggita solo per la mancata trasformazione della meta di Douglas all’ultimo minuto.
L’analisi impone dunque considerazioni approfondite e serene.
La prima obbliga innanzitutto a rispondere a una domanda:
il gruppo a disposizione di Brunello, Dolcetto e Santamaria, ha ottenuto il massimo consentito delle sue possibilità, o poteva fare di più?
La risposta è che probabilmente il suo picco del rendimento questo gruppo lo aveva ottenuto al Sei Nazioni.
La partita con la Francia, 27-28, dello scorso febbraio, dice che su quel traguardo l’Italia ha più o meno toccato il vertice della sua crescita mente la Francia ha continuato a migliorare, nell’ultimo mese addirittura in misura esponenziale.
Innanzitutto per una questione di numeri: nella finale di Stellenbosch contro l’Irlanda, i francesi hanno schierato nei 23 soltanto 11 di quelli che avevano giocato al Monigo nel Sei Nazioni. Segno di un movimento che offre ampi margini di scelta.
Per l’Italia, invece, nella prima del Mondiale contro l’Argentina, i superstiti del match con la Francia erano 17 su 23, senza contare fra gli assenti Mey, infortunatosi a fine maggio con gli Espoirs del Clermont. La base italiana produce poco e i tecnici devono fare i conti con numeri risicati. L’infortunio di Mey ha privato la squadra dell’unico giocatore di classe superiore della linea arretrata.
I nostri giocano poco
Il punto è che tra il mese di marzo e l’inizio della Coppa del Mondo sudafricana, il capitano dei francesi Lemmi Nouchui, per fare un esempio, ha giocato sette partite con maglia della prima squadra del Montpellier, in Top14. Il mediano di mischia Baptiste Jauneau, ne ha disputate altrettante nel Clermont (la metà da titolare), così come l’apertura Hugo Reus, con i campioni d’Europa de La Rochelle. Lewis Chessum, capitano dell’Inghilterra, appartiene all’Academy dei Tigers, ma gioca regolarmente in Championship nel Nottingham, il numero 8 dell’Inghilterra Cunningham-South, la scorsa stagione ha giocato 22 partite (ventidue!) nei London Irish, tra Champions Cup e Premiership. Il flanker Greg Fisilau, quattro partite in prima squadra con i Chiefs a Exeter, più la Prem Cup, con la seconda squadra. Gli Azzurri? Lorenzo Casilio, quest’anno, a parte gli impegni con la maglia azzurra, non ha giocato praticamente mai, come Simone Brisighella, promosso numero 10 titolare nel corso del Mondiale. Il pilone Federico Pisani ha esordito in Serie A, a Verona, a gennaio 2023 e lo stesso capitano David Odiase ha giocato molto poco con gli Espoirs di Oyonnax.
Apparizioni sporadiche, soprattutto in Serie A, anche per Berlese, Passarella, Quattrini. I pochi con esperienza di Top10 erano Botturi e Bozzoni (Calvisano), Battara e Aminu (Mogliano), Mattioli (Colorno). Basterà dirottare a Piacenza, a Rovigo, a Colorno, a Vicenza, a Mogliano a Viadana, a Reggio (ma nel panel mancano Petrarca e FFOO…) alcuni prospetti delle Accademie di Zebre e Benetton per risolvere il problema? Ah saperlo…
Si ma i georgiani?
Ai Mondiali sudafricani, il pilone Irakli Aptisauri era l’unico con esperienza di rugby seniores: più di venti partite nel Grenoble, tra ProD2 e Top14. Ma la Georgia è un caso da studiare a fondo, visto che nel giro di un anno ci ha battuto con la nazionale maggiore, la U20 e nel Seven. Difficile pertanto sostenere che il loro rugby nel complesso sia inferiore al nostro.
La qualità individuale e l’intensità dell’impegno
I nostri hanno mostrato nell’insieme, a parte pochi casi, minori competenze tecniche rispetto alla maggior parte degli avversari. Da noi fin dalle categorie giovanili si tende a privilegiare il fisico sulla tecnica individuale. Ne discende una precoce capacità muscolare non adeguatamente sostenuta dalla capacità a) di leggere il gioco, b) da un livello di esecuzione accettabile del singolo gesto tecnico.
Massimo Brunello e il suo staff hanno puntato molto sulle caratteristiche migliori del materiale a disposizione: grande fisicità della mischia, buona organizzazione (sulla carta) delle fasi statiche.
Il livello della competizione però ha messo in crisi le nostre strutture di conquista e privato gli Azzurri di un possesso sicuro, in assenza del quale la squadra ha mostrato poche o nessuna alternativa nel gioco di attacco. Cosa che è emersa in specifico contro la Georgia e le Fiji.
Manca al nostro movimento una competenza dei formatori a livello individuale. Ma i club mancano anche di strutture e tempo per formare i ragazzi nell’esecuzione del singolo gesto tecnico. Possesso e avanzamento sono un mantra che, a livello internazionale, trova ostacoli insormontabili se non viene sorretto dalla capacità di andare a contatto, attaccare i lati deboli degli avversari, presentare adeguatamente il pallone in ruck. Le linee di corsa, a livello giovanile, sono figlie della stazza dei ragazzi e, quasi mai, di un piano di gioco condiviso a livello generale.
Gli errori individuali, fin dall’età più tenera, vanno individuati, analizzati e corretti. Non basta dire: “non fate cadere il pallone…”. Dietro un passaggio ben fatto (da entrambi i lati…), prima di un calcio di spostamento eseguito in modo accurato, di una presa al volo sicura c’è un enorme lavoro che non puà essere improvvisato nei pochi giorni o in qualche settimana di un raduno di una selezione nazionale. E tutto questo lavoro deve poi essere contestualizzato in partita, per essere affinato e ripetuto sotto pressione. Che abitudine hanno i giovani Azzurri a replicare azione dopo azione, match dopo match, settimana dopo settimana un’intensità che tempra sia sul piano atletico che su quello mentale?
Possiamo dire con certezza: quasi nessuna.
Percorsi di formazione condivisi, tecnica e fisico insieme.
All’estero i giovani giocano moltissimo, in Galles oltre 50 partite all’anno tra college, club università e selezioni nazionali. Questo impedisce loro di dedicare in età giovanile lo stesso tempo alla palestra che dedicano gli italiani.
Il gap fisico che ne deriva viene compensato nel tempo con la tecnica individuale. E quando, con l’età adulta, anche all’estero l’aspetto muscolare viene lavorato a dovere, quello che per noi era un vantaggio diventa un handicap difficile da colmare.
Il torneo in Sudafrica
Con le premesse di cui sopra, la U20 ha messo in difficoltà gli avversari finche gli è stata assicurata una buona prevalenza fisica. Annullata quella sono venuti meno tutti presupposti del nostro gioco. La precisione del gesto ormai è diventata fondamentale anche a livello juniores, come hanno mostrato i francesi, ma anche l’Irlanda, l’Inghilterra, l’Australia, il Galles, che pur fra mille difficoltà organizzative, ha ridimensionato la Georgia rifilandogli una quarantina di punti in semifinale. La stessa Inghilterra ha demolito le Fiji, capaci a loro volta di mettere in crisi l’Italia.
Si poteva fare di più?
La sconfitta con l’Argentina, con l’espulsione di Aminu nei primi minuti di gioco ha comportato la necessità di cercare il riscatto immediato con il Sudafrica, quando la partita su cui puntare doveva essere probabilmente quella con la Georgia, decisiva per rimanere nella parte alta della classifica finale. Invece, al match con i georgiani i nostri sono arrivati scarichi mentalmente e fisicamente. Perché come detto in precedenza, non c’è abitudine alcuna nei nostri ragazzi a replicare nel giro di pochi giorni una prestazione dura, sotto tutti i punti di vista, come quella messa in campo contro i Baby Boks.
Con le Fiji è uscita fuori una giornata nera aggravata dal fatto che, persa la battaglia fisica con i georgiani, gli Azzurri si sono trovati nel panico sul piano strategico-organizzativo: mischia o non mischia? E senza mischia con gli isolani sono dolori.
Forse l’errore iniziale, figlio del Sei Nazioni, è stato di puntare tutto sugli avanti in un girone che ci metteva di fronte tre squadra forti soprattutto a livello di stazza e capacità muscolari (Argentina, Sudafrica e Georgia). L’assenza di Mey ha fatto propendere la strategia per rafforzare ulteriormente il gioco del pack. Per quello che si è visto, la linea arretrata, a parte gli sprazzi di qualche singolo elemento, non aveva le qualità per mettere in difficoltà le altre squadre.
E se analizziamo anche le scelte di Crowley, in una ipotetica formazione della nazionale maggiore, oggi il maggior numero di attaccanti (dal 9 al 15) è cresciuto e si è formato all’estero: Varney, Page-Relo, Allan, Brex, Ioane, Odogwu, Capuozzo (e a Treviso, Albornoz, Umaga, Watson, Uren, Mendy, Riera, Hidalgo-Clyne, Smith, Ratave….). Un tema su cui lavorare e meditare. (nella foto, una carica di Odiase contro