Auguri a Andrea Taveggia che oggi, 22 febbraio, compie novant’anni e proprio il 22 febbraio del 1955 a Tolosa mise a segno tre mete contro la selezione militare francese, battuta a sorpresa dall’Italia 14-3. Leggi l’intervista a Taveggia pubblicata qualche anno fa da Alrugby
Mai a testa bassa, su qualsiasi campo
di Federico Meda
Andrea Taveggia, simbolo dell’Amatori anni Cinquanta e Sessanta, racconta i suoi esordi, tra rifiuti, figurine e ore passate in treno«Io correvo un’iradiddio, non ero mai stanco. Forse perché ho sempre fatto una vita molto sana, equilibrata tra fatica e riposo». A parlare è The Rock, nom de plume di Andrea Taveggia, il giocatore milanese con più presenze in nazionale, ben 16. Scandite in un arco di tempo che va dal 1954 al 1967. Esordio con la Francia all’Olimpico in Coppa Europa, congedo nella medesima competizione, contro il Portogallo. Nonostante sia nato e cresciuto in viale Romagna, a un paio di km in linea d’aria dal Giuriati, Andrea non ha esordito con la maglia di un club milanese: «Mi sono avvicinato al rugby grazie alle figurine Motta e al relativo concorso a premi. Dopo una partita agli universitari – Agrari vs Geometri: «Tu sei forte», gli dissero, «e devi darci una mano» – volevo provare a praticarlo così mi sono recato in via Pascal ma nessuno mi ha calcolato. Con la coda fra le gambe ho fatto il percorso a ritroso pensando che non avrei mai passato un ovale in vita mia. Poi un dirigente del Rugby Brescia, nonché Professore di Diritto, tale Arturo Braga, saputo del mio desiderio, mi ha semplicemente detto: “Caro Andrea, se vuoi venire a giocare, vieni in stazione a Brescia, domenica mattina”. Così, di buon ora, ho preso il treno con un sacchetto. All’interno? Calze, scarpe e una salvietta».
Allenatore della squadra è Aldo Invernici, cui è dedicato l’attuale campo di rugby della città, che prende subito di petto Taveggia: «Ti faccio giocare pilone, che ne dici?». Avversari di giornata una squadra meneghina che appartiene al passato, i Diavoli Rossoneri. Qualche campionato in massima serie ma mai in posizione di vertice. Avversario in mischia? «Gabanella, da Rovigo. Nazionale».
Nonostante l’imperizia, Andrea fa un figurone e le uniche parole che sente nel terzo tempo sono «Martedì e giovedì prendi il treno a questi orari per gli allenamenti. Al biglietto di pensiamo noi. Domenica prossima si gioca a Treviso». In serie A.
Andrea rimarrà a Brescia diverse stagioni, nonostante il fastidioso avanti e indietro che caratterizza tre giorni su sette della settimana: «Dopo due anni in massima serie un giocatore milanese, Luigi Bonanni, mi chiede perché non mi trasferisco all’Amatori. Gi ho chiesto di intercedere tra le due società: a me faceva comodo rimanere a Milano ma a Brescia mi trovavo benissimo. Perché cambiare?». Infatti Andrea non cambia, l’Ingegner Sacchetti, sponda Amatori, inoltra la richiesta di trasferimento ma manca la firma. «Quindi sono rimasto a Brescia un altro anno».
Finalmente in bianconero
«In totale, all’Amatori, ho giocato 21 anni. Ho smesso a 42, per limiti di età. Ho provato a giocare sotto la mia responsabilità ma mi hanno tolto la tessera lo stesso». Si sentiva ancora giovane, l’Andrea: «Io ho giocato pilone, a destra e a sinistra, tallonatore e finanche numero 8. Ma perfino estremo, perché correvo sempre e comunque. Nell’ultimo match ricordo di aver preso l’ala avversaria, tal Cottafava». Dell’Amatori Taveggia diviene il simbolo, il capitano, in anni molto diversi da quelli di Cicogna e di Manzoni, con poche soddisfazioni e anche un po’ di serie B. Un rugby privo di soldi ma ricco di maestri: dopo Invernici Andrea ha a che fare con Caccia Dominioni, Poulain, Saby, «gente che considerava il rugby una partita di scacchi in movimento. Gente che non ti faceva fare ruck su ruck, ma ti insegnava a coprire lo spazio insieme, viaggiando a destra e sinistra. Gente che pretendeva sapessero tutti calciare in touche. Con entrambi i piedi!».
Oltre al club, la Nazionale, con cui si fanno i test ufficiali ma anche tante amichevoli contro le selezioni francesi e britanniche: «Nel febbraio del 1955 andiamo a giocare il torneo di Tolosa, è la prima volta che battiamo una rappresentativa transalpina. È un momento storico e io, contro l’Armata francese, faccio la partita della vita. Segno tre mete, una facendo metà campo da solo, su passaggio di Stievano. Tornando, a Nizza, i compagni hanno scoperto non so come, essere il mio compleanno, così ho dovuto offrire da bere. Io che bevo quasi esclusivamente latte». Non a caso: Andrea è nato, cresciuto («e morirò») agricoltore. Prima aveva anche il bestiame, da tanto tempo solo mais, soia e cereali in genere. Il tutto vicino Novara, dove quando può va a vedersi la locale squadra di rugby che milita in serie C.
In Nazionale
«Dovevo esordire contro la Spagna, semifinale di Coppa Europa, primavera 1954. Il mio nome compariva già sulla Gazzetta, ricordo l’orgoglio di mio padre. Poi una febbre mi mise fuori e scesi in campo per la finale, all’Olimpico contro la Francia. Bella partita, loro erano reduci dal trionfo al Cinque Nazioni e dalla vittoria contro gli All Blacks. Il divario fu importante ma segnammo più mete noi che qualsiasi avversario britannico nei due mesi precedenti». Quel giorno capitano era Paolo Rosi, al commiato con l’azzurro; Andrea prese i galloni per tre edizioni della Coppa Europa: nel 1955, nel 1959 e nel 1960. Per un totale di 6 partite.
In un ritaglio d’epoca, alla vigilia di una sconfitta con l Francia (17 aprile 1960, 26-0 per i transalpini), Andrea è descritto come «l’uomo che fa muro nelle touche, che sostiene il peso – assieme al suo collega di reparto – della mischia avversaria; ha un calcio potente e preciso ed è pure presente nelle fasi d’attacco. Non poche volte destreggiandosi abilmente riesce a deporre la palla ovale al di là della linea di meta». Perché Taveggia fu anche un ottimo scorer: una volta, in Nazionale, fece un hat-trick a una selezione francese. E in maglia Amatori segnò la bellezza di due mete e 8 trasformazioni. In una sola partita.
Nella foto, un break di Taveggia contro la Francia, nel 1960 a Treviso.