Si gioca Italia v Francia. Ecco le considerazioni di Jacques Brunel, allenatore degli azzurri dal 2012 al 2016, a Allrugby, raccolte da Giacomo Bagnasco e pubblicate nel numero di gennaio.
Buon pomeriggio, monsieur Brunel, com’è andata la vendemmia?
“Meglio dell’anno scorso. L’estate molto calda ha portato un po’ più di zucchero e una gradazione maggiore. Sì, una vendemmia di qualità; per la quantità, invece, ci dovremo accontentare”.
Jacques Brunel non si tira mai indietro quando c’è da parlare di vino, e in particolare del “suo” vino, quello che produce nell’area del Minervois, sud della Francia, con i vitigni Cabernet Sauvignon e Syrah. Ma la chiacchierata si sposta presto sul rugby, sulle opinioni e sulle previsioni dell’ex ct di Italia (dal 2011 al 2016) e Francia (dal 2017 al 2019, quando è stato sostituito dal suo assistente Fabien Galthié).
D’altronde il 2023 consentirà alle Nazionali europee di fare due vendemmie, una nel Sei Nazioni e una in Coppa del Mondo. A chi andrà la raccolta migliore? Chi sarà il vigneron più soddisfatto?
“È vero, sta cominciando un’annata particolare. Il Sei Nazioni, per le europee, sarà anche l’ultimo round di osservazione a 6-7 mesi dalla Coppa del Mondo. Francia e Irlanda hanno chiuso benissimo il 2022: hanno qualità e una fiducia che si basa sui risultati. L’Inghilterra è un punto interrogativo, non è stata brillante né nell’ultimo Torneo né in autunno ma è veramente raro vedere un ct mandato via a meno di un anno dal Mondiale, e oltretutto pare che più di un giocatore abbia dato il suo sostegno a Eddie Jones. Una situazione veramente complicata”.
L’Irlanda arriva spesso al top nella stagione che precede la Rugby World Cup. Sarà così anche stavolta?
“Ci faremo un’idea più precisa grazie al Sei Nazioni. Certo, gli irlandesi hanno ottenuto grandi vittorie, ma non sono del tutto convinto che abbiano fatto un passo avanti. La struttura di gioco è sempre la stessa, sono molto precisi, però il valore della prestazione collettiva dipende molto da quella di Sexton, il mediano di apertura. La Francia ha il migliore mediano di mischia del mondo, ma non è troppo Dupont-dipendente. Ha grandi qualità davanti: per me Baille è il pilone sinistro più forte che ci sia, poi ci sono due-tre tallonatori al massimo livello e un n. 8 incredibile come Alldritt. E dietro abbiamo 3-4 uomini che hanno l’X-factor. Penso anche che, ora come ora, sia la squadra con più potenza, e con molti giocatori all’altezza dietro i titolari. Però aspettiamo la verifica del Torneo, che quest’anno propone tre partite in trasferta, fra cui quelle con l’Inghilterra e l’Irlanda”.
E le altre squadre del Sei Nazioni?
“Sono un po’ deluso dai gallesi. In rapporto al loro gioco, che è prevedibile, e anche alle poche novità a livello di giocatori. La Scozia rimane… la Scozia. L’anno scorso ha cambiato un po’ la squadra, con qualche risultato interessante. Come l’Italia, deve adattarsi al profilo degli uomini che ha, e come l’Italia ora punta a un gioco più dinamico”.
Ecco, l’Italia…
“Ha fatto buone cose e, per contro, sulla sconfitta con la Georgia si sono concentrati in tanti perché la Georgia è la squadra che vorrebbe prendere il posto degli Azzurri nel Sei Nazioni. Ma per me non ci sono dubbi: è l’Italia che deve rimanere nel Torneo. Ricordiamoci che ha battuto Galles, Samoa e Australia e che in autunno ha giocato buone partite. Ci sono ragazzi forti, alcuni di quelli che giocano all’estero, come Garbisi e Capuozzo, sono “top”. Prima parlavo di rugbisti che hanno qualcosa di più, che sanno sfidare l’avversario e cambiare il corso di una partita: ecco, Capuozzo è uno di questi, ha queste caratteristiche. E tra gli avanti si vede l’attitudine a sfidare gli avversari nello spazio. Rispetto ad alcune avversarie forse manca un po’ di potenza, soprattutto fra i primi cinque, ma c’è più mobilità, e bisogna puntare su quella. Vedo anche una generazione che sta crescendo, interessante, e penso che questa squadra possa fare bene in Coppa del Mondo, sia pure in un girone impossibile che comprende Francia e Nuova Zelanda”.
All Blacks sempre inarrivabili per gli Azzurri.
“Sì, anche se non hanno più la costanza di prima. Li abbiamo visti cedere in partite che in passato non avrebbero mai perso. Tra le grandi dell’altro emisfero il Sudafrica è sempre difficile da affrontare, forte fisicamente e completo. In autunno ha perso di poco in Irlanda e Francia, ma ha battuto l’Inghilterra. Al momento sembra avere il problema di chi mettere all’apertura, vedremo. L’Australia è un gradino sotto le altre due, mentre l’Argentina può arrivare ai quarti e oltre, basta pensare che nel 2022 ha vinto in Nuova Zelanda e in Inghilterra”.
Proprio i Pumas avevano battuto due volte su due la Francia in casa sua, ai Mondiali 2007, nella partita inaugurale e nella finale per il terzo posto…
“Da noi c’è un’attesa fortissima per i Bleus, che nel 2022 hanno vinto 10 partite su 10. Quindici anni fa era stata soprattutto la sconfitta nella prima partita a pesare psicologicamente. Stavolta dico che la Francia può essere la favorita n. 1, ma guardiamo i Mondiali di calcio e andiamoci piano con i pronostici: chi avrebbe detto che il Marocco poteva eliminare Spagna e Portogallo?”.
Tanti si ricordano della “parola chiave” di Jacques appena arrivato in Italia. Questa parola era equilibrio (o meglio, secondo la sua pronuncia, echilibrio). La Francia è anche la squadra più equilibrata?
“Al momento sì, oltre a tante individualità ha equilibrio di gioco, collettivo, strategico. Fabien Galthié ha fatto crescere un gruppo di giovani fantastico, si appoggia a un ottimo staff (tra l’altro rafforzato da un mago della difesa come Shaun Edwards, ndr) ed è un punto di riferimento per tutta la squadra. Dalla sua ha avuto anche il sostegno sia della federazio<ne che dei club di Top14, ha potuto fare allenamenti con la partecipazione di 42 giocatori, condizioni che a nessuno erano state concesse prima”.
E l’Italia di oggi come sta quanto a equilibrio?
“Premetto che, quando sono diventato il vostro ct, parlavo di equilibrio non solo tra avanti e trequarti ma tra tutte le parti del gioco: alla mano e al piede, in difesa e in attacco. Avevo trovato una squadra con uno spirito più portato alla difesa, e pensavo che fosse importante non limitarsi a opporre e invece cominciare anche a proporre, ad attaccare. Adesso questa volontà gli Azzurri l’hanno dimostrata: a partire dalla mediana, con Garbisi e Varney, si punta ad avere un gioco più completo”.
La sua collaborazione con il Valorugby Emilia va avanti?
“Sì, in questa stagione non sono ancora andato di persona a Reggio, ma guardo i video delle partite, mi sento con loro tutte le settimane. Il Top10 dovrebbe alzare la sua qualità, ma per farlo bisognerebbe avere giocatori professionisti. A Reggio si lavora in progressione per avere un gioco migliore, innanzitutto sul piano fisico e della velocità. Se nelle partite non c’è ritmo, se ci sono troppe interruzioni, questo è un problema per far crescere i giocatori. Si è provato almeno a impostare allenamenti con standard alti, si vedono buone cose ma manca la costanza”.
Che cosa servirebbe al rugby italiano?
“Quando sono diventato ct, pensavo che tutte le forze (settore giovanile, franchigie, Nazionale) si potessero mettere insieme e che tutto fosse sotto il controllo della Fir, ma non è mai stato così. Prima gli Aironi e poi le Zebre hanno sempre avuto problemi, mentre spesso il Benetton non è stato allineato alla federazione, che pure lo sostiene. Se la Fir avesse il controllo di questa piramide e la Nazionale maggiore potesse raccogliere i frutti di un lavoro fatto in comune, allora sarebbe possibile ottenere risultati diversi. Aggiungo un’ultima cosa, riguardo ai ragazzi che escono dalla Nazionale Under 20. Su una rosa di 30 giovani, possono essercene 10-15 con un profilo da tenere d’occhio. Ma nelle franchigie solo due-tre troveranno spazio per giocare. Gli altri, secondo me, si possono distribuire fra i club del Top10, che non spenderebbero niente ma dovrebbero garantire per ognuno un certo numero di minuti giocati”. Sarà tanto difficile?
Nella foto, Jacques Brunel (Foto David Gibson/Fotosportit)