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Ecco la versione integrale dell’intervista di Paolo Ricci Bitti ad Alice Pellegrino, ingegnera spaziale e giocatrice di rugby. L’intervista, in versione ridotta per motivi di spazio, era stata pubblicata sul numero 199 di Allrugby.

La questione un po’ dolente è che Alice Pellegrino da anni viene inseguita in mezzo mondo dai cronisti italiani, compresi quelli della Rai, in cerca di eccellenze tricolori all’estero. Epperò non le fanno mai una domanda, un cenno, un piccolo riferimento sul rugby in mezzo ai mille quesiti sulla sua spettacolare carriera di ingegnera aerospaziale. Che diamine: adesso AllRugby ci mette una pezza. Dietro a nano e macro satelliti, dietro a sistemi di attracco delle stazioni spaziali internazionali (dalla storica Iss alla futura Lunar Gateway), dietro al tumultuoso mercato dei lanciatori (razzi) di satelliti ci sono anche mete, lividi, avventurose trasferte nei campi di periferia, allenamenti da giocatrice e da allenatrice. Ecco Alice Pellegrino, 32 anni, finalmente anche in versione trequarti utility back da Frascati ad Anversa (Belgio) passando per Olanda e Giappone.

Ci vuole un fisico e una determinazione bestiale per lottare fin da ragazza, in Italia, contro due storici e coriacei pregiudizi: il rugby non è adatto alle donne così come le materie Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica).

“Ci vuole senza dubbio molta volontà, bisogna essere disposte a faticare parecchio anche se ho sempre vissuto queste situazioni con la serenità che deriva dalla consapevolezza delle difficoltà. La famiglia, che pure non comprendeva rugbisti, mi ha inoltre sempre sostenuta sia per il rugby sia per gli studi”.

Perché la palla ovale?

“Amore a prima vista fin da bambina. Come migliaia di ragazzine e ragazzini dei Castelli Romani è stato Alessandro Molinari a reclutarmi. Lui (Sandro detto Pastina, ndr) purtroppo quattro anni fa è venuto a mancare, ma il rugby e la stessa Frascati dovrebbe dedicargli un monumento. Ho iniziato appunto nella mia  Frascati, poi tra alti e bassi, ho peregrinato in tutta la zona dei Castelli incrociando anche le strade di azzurre come Maria Cristina Tonna, un’altra campionessa della diffusione del rugby, e, in campo, Giordana Duca, Beatrice Capomaggi e anche l’azzurro Giulio Bisegni. Ho fatto tutta la trafila fino alle seniores in serie A, poi anche il rugby a 7, il touch, il beach (con le Spavalde). Poi l’allenatrice per il minirugby e la volontaria all’Olimpico per il Sei Nazioni, che magia le partite di quel Torneo”.

Con grinta su un campo di beach rugby

Intanto però c’era da studiare al Liceo Scientifico Tecnologico “Volterra” a Ciampino.

“Già, sempre giornate pienissime tra lezioni, libri e allenamenti. Come per il rugby, quando stai per finire le scuole medie inferiori senti che non mancano le pressioni per intraprendere studi classici letterari invece che Stem. E’ qui il problema: fino ai 12 anni le bambine hanno di solito risultati migliori in matematica rispetto ai maschi, ma poi se non ti aiutano a coltivare la passione, se ti spingono a fare altro perché non sei un maschio, succede che perdi interesse e i risultati calano”.

Da Frascati allo spazio…

“In realtà sono solo due passi: a Frascati c’è il Centro europeo per l’osservazione della Terra (Esrin) dell’Agenzia spaziale europea. Il liceo ci ha portato in visita e lì mi si aperto un mondo, diciamo un universo, davanti. Per di più all’epoca allenavo al minirugby i figli di un dirigente dell’Esrin, lo scozzese Gordon Campbell, ingegnere aerospaziale dell’Esa, che mi ha incoraggiato a seguire anche la mia passione per lo spazio”.

I primi cubesat (“dadi” pesanti un chilogrammo con spigolo di 10 centimetri che resistono in orbita a 28.800 chilometri orari) già all’università, sempre tra una meta e l’altra.

“Sì, alla Sapienza mi sono laureata in Ingegneria Aerospaziale e sempre alla Sapienza ha seguito il Master nello stesso ambito. Oltre a periodi di studio in Olanda e Belgio ho partecipato alla progettazione dei minisatelliti per osservazione della Terra e comunicazioni Stratonav, Ledsat e alla costellazione Horus, sempre correndo dalle aule universitarie ai campi da rugby e viceversa: faticoso ma entusiasmante. Ed è un’emozione straordinaria vedere i “tuoi” satelliti volare in orbita magari su un razzo europeo come Vega C di Avio costruito in gran parte in Italia, a Colleferro”.

Con compagne e avversarie dopo un torneo Seven

Infortuni pesanti ne ha mai subiti?

“Per fortuna mai di quelli seri. C’è stato un momento in cui ho rischiato di discutere la mia tesi triennale in Ingegneria Aerospaziale con i segni evidenti di un naso rotto, un piccolo incidente avvenuto appena un mese prima della discussione. Per fortuna tutto si è risolto in tempo e sono riuscita a presentarmi senza lividi!”.

Stop al rugby, però, quando ha iniziato a lavorare?

“Purtroppo sì, anche perché sono finita in fretta in Giappone assunta dal comparto aerospaziale della Canon, sempre nel campo dei cubesat. E non è che anche là non esistano pregiudizi di genere, ma l’ambiente è comunque internazionale e lo si avverte di meno. Sì, lo so che la casa madre di quella multinazionale ha un forte club di rugby, ma non erano previsti collegamenti con il settore spazio. Tuttavia ci hanno dato i biglietti per una partita degli All Blacks durante la coppa del mondo del 2019. Poi però, dopo due anni, è arrivata la pandemia del Covid che mi ha spinto a tornare in Europa. Avevo offerte anche in Italia, ma ho trovato contratti e progetti migliori in Belgio, dove ho incontrato l’attuale fidanzato che non gioca a rugby anche se ha il fisico da terza linea”.

Di rugby in Belgio ce n’è pochino.

“Vero, che nostalgia di Frascati e dell’Olimpico. Comunque di azienda in azienda sono adesso all’americana Redwire (già QinetQ) dove si lavora nell’ambito di progetti spaziali da milioni di dollari. Tra questi l’Ibdm (International berthing and docking mechanism), un sistema di attracco delle navicelle spaziali alla storica stazione internazionale e alla prossima Lunar Gateway che sarà ugualmente basata su parecchia tecnologia italiana. Ecco, va detto che nel mondo il comparto aerospaziale italiano è molto quotato: se ci riferissimo a un Sei Nazioni spaziale l’Italia lo vincerebbe”.

E questo nonostante le ragazze italiane che intraprendono questa carriera siano ancora pochissime.

“Un peccato perché lo spazio è fonte di grande ispirazione con effetti in tutte le attività anche “terrestri” dell’umanità. Però nel mondo solo il 20% degli addetti a questo settore è composto da donne, in Italia anche peggio: troppo spesso c’è ancora chi strabuzza gli occhi quando gli dici che sei un’ingegnera aerospaziale. E’ per questo che da tempo ho deciso di fare parte di network internazionali tra i quali anche Space for women nato nell’ambito dell’Onu. Un impegno gravoso ma necessario: si tratta di programmi di mentorship per aiutare le ragazze a superare i pregiudizi di genere”.

Più o meno come ha sempre fatto anche nel mondo del rugby?

“Sì, il rugby e il settore spaziale, pur sembrando mondi molto diversi, sono legati da valori comuni che hanno avuto un impatto profondo nella mia carriera. Lo spirito di squadra è fondamentale in entrambi i contesti: nel rugby, ogni membro del team gioca un ruolo essenziale, proprio come nel settore spaziale, dove ingegneri, scienziati e manager devono collaborare armoniosamente per raggiungere obiettivi complessi. La resilienza è un’altra lezione che ho portato con me: nel rugby, ogni caduta è solo un’opportunità per rialzarsi, così come in un progetto spaziale, dove gli ostacoli devono essere affrontati con determinazione e capacità di adattamento. La disciplina e la strategia sono altrettanto cruciali in entrambi gli ambiti: nel rugby, seguire un piano di gioco rigoroso è essenziale per il successo, come lo è nel management di progetti spaziali, dove il coordinamento, la pianificazione e la gestione delle risorse sono determinanti. Infine, sia nel rugby sia nel settore spaziale, l’ambizione di superare i limiti e innovare è ciò che spinge a fare progressi continui. Questi valori, uniti alla passione e alla voglia di raggiungere traguardi sempre più ambiziosi, mi hanno accompagnata nel mio percorso, sia sul campo che nella gestione di progetti complessi nel mondo spaziale”.

Ma avrebbe voluto fare l’astronauta come Samantha Cristoforetti oppure come le americane Anne McClaine e Jessica Watkins che hanno addirittura giocato a rugby in nazionale a 15 e a 7 (nessun altro sport, anche fra i maschi, vanta questo primato, ndr)?

“Per rispondere alla sua domanda, devo andare un po’ controcorrente. Sebbene l’Universo mi abbia sempre affascinata e nutra grande rispetto per lo spirito pionieristico degli astronauti, non ho mai desiderato intraprendere quel percorso per me stessa. Li ammiro profondamente, così come ammiro e rispetto Samantha Cristoforetti, ma riconosco che il loro ruolo richiede qualità e capacità diverse dalle mie. Ho sempre risposto a questa domanda dicendo che i miei piedi e il mio cuore si sentono più a casa sulla Terra, contribuendo allo sviluppo delle tecnologie che rendono possibili le loro missioni, permettendo loro di raggiungere la Stazione spaziale internazionale e ispirare il mondo con il loro coraggio”.

Le due versioni di Alice Pellegrino, ingegnera aerospaziale e rugbista

Adesso si è persino messa in proprio fondando Alitech.

“Dopo dieci anni di rugby ho imparato che il successo si costruisce con spirito di squadra, resilienza, disciplina e strategia, valori che ho portato anche nella mia esperienza come project manager nel settore spaziale. Con Alitech Consulting applico questi stessi principi per aiutare aziende e professionisti a migliorare l’efficienza dei team, ottimizzare la comunicazione e valorizzare la diversità, trasformando il potenziale umano in performance sostenibili”.

Ehm, si dice che il rugby femminile sia spesso più spettacolare di quello maschile perché “le donne giocano nello spazio” invece di fare solo autoscontri come i maschi?

“Ah ah ah, che battuta, ma sì è vero il rugby femminile è sempre più spettacolare. Ed è giusto che le ragazze della nazionale abbiano iniziato ad avere sostegno dalla Fir anche se c’è ancora molto da fare”.

Il pronostico per il Sei Nazioni visto dallo spazio?

“Inghilterra e Francia, loro sì, sono spaziali e faranno il loro solito torneo a parte, poi le azzurre se la possono giocare con tutte le altre cavandosi molte soddisfazioni. In bocca al lupo alle mie amiche Giordana e Beatrice”.

Nella foto del titolo, Alice Pellegrino allenatrice di minirugby a Frascati 

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