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Cominciamo dai numeri: con una media di 6 mete al passivo a partita (25 in totale) l’Italia marcia verso la seconda peggior prestazione in difesa da quando è entrata nel Sei Nazioni. Il record, 34 mete (media 6,8) appartiene al torneo 2021 (coach Franco Smith).

Dalle Autumn Nations Series in poi (sette partite in totale) le mete subite sono state 38, media 5,4 a incontro. La matematica non è un’opinione. Houston abbiamo un problema.

La scorsa stagione le Zebre hanno subito una media di 5,22 mete a partita, quest’anno sono scese a 3,17. Cherchez la femme, direbbero i francesi. Stavolta non si tratta di una donna: l’allenatore della difesa delle Zebre della scorsa stagione, Richard Hodges, ora allena quella dell’Italia. E’ colpa sua? La difesa non dipende mai da un solo uomo, che sia in campo, o in panchina. Lo scorso Sei Nazioni gli azzurri, nelle sei partite, concessero 16 mete, la difesa la curava Marius Goosen, con il quale l’anno prima le mete al passivo erano state 22 e, nel 2023, 27.  Goosen c’era anche al Mondiale 2023. L’analisi procede per indizi ed è meno semplice di quello che si crede perché tutto il resto dello staff (e i giocatori) sono gli stessi del “glorioso” Sei Nazioni 2024.

In compenso le mete all’attivo, in questo Sei Nazioni, sono 8 (2 a partita), da novembre 2024, 13, i conti tornano: la nazionale può vincere solo se trova avversarie (la Georgia e il Galles) che non ne segnano più di un paio per match.

Di Kieran Crowley fu annunciata prematuramente la partenza dopo un Sei Nazioni in cui l’Italia aveva messo a segno 9 mete e ne aveva subite 22. La meta di Tommaso Menoncello che ha aperto le marcature contro la Francia e illuso i 65 mila dell’Olimpio (foto Delfrate)

Dunque, come aveva detto Gonzalo Quesada venerdì prima della partita di Twickenham, quando le cose non vanno qualcosa si deve cambiare.

Da dove si deve cominciare e cosa cambiare?

Lo stile di gioco? Forse. Il sistema di difesa? Alcuni interpreti? Forse anche. Contro l’Inghilterra il coach ha dato spazio dal primo minuto a Stephen Varney, Marco Riccioni, Ross Vintcent, Matt Gallagher.

Il punto non è che gli azzurri non placcano (alcuni in realtà lo fanno meno di altri…), momenti di stoica resistenza sulla linea di meta, anche a Twickenham contro l’Inghilterra, dimostrano che anche l’Italia sa affrontare la battaglia muscolare ravvicinata. Manca piuttosto un sistema collettivo di organizzazione che eviti di mettere nello spazio i giocatori più leggeri, o più lenti, di fronte ad avversari più pesanti o più veloci. L’Italia, stretta in mezzo al campo, difende con coraggio, ma a largo sono dolori.

Probabilmente c’è anche la difficoltà di rallentare i punti di incontro quando gli avversari attaccano a pieno regime: l’Italia è la squadra che nelle prime quattro giornate ha dovuto effettuare più placcaggi, 688, cento più dell’Inghilterra, oltre 200 più della Scozia, a un certo punto anche il muro più solido finisce per crollare.

Gallagher e Negri festeggiano Ross Vintcent dopo la meta del 14-14 (Foto Paul Harding/Federugby via Getty Images)

In mezzo al campo, peraltro, Zuliani e Vintcent sono probabilmente, in questo momento, due atleti imprescindibili per la squadra di Quesada, per dinamismo, aggressività, qualità individuali: il primo, su 320 minuti delle prima quattro partite, ne ha giocati 92; Vincent 119.

In una squadra che fa acqua in varie aree del gioco di due così non si può fare a meno.

Il Galles, dopo l’arrivo di Matt Sherratt al posto di Gatland, ha affrontato sia l’Irlanda che la Scozia, con due cacciatori in terza linea: Tommy Reffell e Jac Morgan. La Scozia schiera Jamie Ritchie e Rory Darge a fianco di Jack Dempsey. Forse anche l’Italia potrebbe provare a giocare con una terza linea più mobile e aggressiva, magari spostando Negri in seconda linea.

Dietro la mischia gli azzurri non hanno giocatori capaci di recuperare i palloni sul gioco aereo.

L’Italia, dopo l’Inghilterra, è la formazione che ha calciato di più nel gioco, 127 volte, ma recupera a mala pena il 10% dei palloni messi in aria. L’Italia calcia più o meno come l’Inghilterra, ma il guadagno territoriale medio nelle quattro partite è stato di oltre 100 metri inferiore a quello dei bianchi con la rosa sul petto.

A Twickenham, la mediana inglese, Alex Mitchell e Finn Smith, ha calciato in tutto 19 palloni, con un guadagno territoriale medio di 29 metri. Varney e Garbisi hanno calciato viceversa in totale 17 volte, con guadagno che arriva in media a 25. Funzionano, in modo intermittente, i calci dietro la linea, da uno di essi, catturato da Brex, peraltro è nata la meta di Capuozzo contro gli inglesi.

La meta di Ange Capuozzo dopo un bel calcio a seguire di Ioane per il momentaneo 7-7 a Twickenham (foto Paul Harding/Federugby via Getty Images)

Se il gioco al piede non paga, per cercare di tenere in allarme le difese, perché non provare un 9 come Fusco? Il mediano di mischia delle Zebre a novembre ha risolto una giornata nata male marcando la meta decisiva contro la Georgia a Genova, due anni fa aveva segnato da subentrante proprio contro l’Inghilterra a Twickenham, senza contare le due mete di questa stagione al Munster e quella al Connacht a dicembre a Galway. Perché non dare qualche chance in più a un giocatore che ha fisico, velocità e può scompigliare i piani avversari con un gioco meno prevedibile palla in mano?

Il contrattacco

Il contrattacco è una caratteristica chiave di questo torneo: Kinghorn, Ramos, il gallese Blair Murray, Capuozzo, Marcus Smith. Capuozzo è formidabile quando contrattacca come estremo, anche se al piede il suo gioco è meno efficace di quello degli avversari: con l’Inghilterra la lunghezza media dei suoi calci è stata di 22 metri, quella di Elliott Daly 34.3.

All’ala viceversa le sue carenze difensive vengono esposte troppo quando si trova uno contro uno nelle corsie laterali. Ma solo con l’Inghilterra è tornato a vestire la maglia numero 15, che con l’Italia aveva indossato nelle tre partite disputate lo scorso Sei Nazioni. Serve trovare posto per un calciatore preciso come Allan? Parliamone.

Uno dei calci di punizione messi a segno da Tommaso Allan (Foto Federugby/Federugby via Getty Images)

Poi ci sono quelli che non giocano mai: Leonardo Marin, 6 minuti in tutto a novembre, tra Georgia e Nuova Zelanda, Giulio Bertaccini, 8’ contro la Georgia, in un ruolo dove Brex e Menoncello non hanno praticamente alternative, e gli invitati, perenni tali: Matteo Canali, Tommaso Di Bartolomeo, Muhamed Hasa.

Infine qualche considerazione di sistema: nella stagione 2022 l’Italia U20 battè due volte l’Inghilterra. Nella prima partita, gli inglesi, con Finn Baxter numero 1, furono travolti in prima linea, ma di Genovese che quel giorno mandò a gambe all’aria il proprio avversario non si è più avuta traccia a livello internazionale. Mentre Finn Baxter ha già 10 caps con l’Inghilterra, compreso quello di domenica contro gli azzurri.

A luglio, invece, nelle Summer Series, il numero 10 inglese (vittoria dell’Italia 38-31) era Finn Smith, quello dell’Italia Teneggi…Di quella formazione azzurra sono arrivati al vertice Lorenzo Pani, che purtroppo è infortunato, e Ross Vintcent. Nell’Inghilterra giocava anche Cunningham-South, un anno più giovane dell’azzurro. Almeno Cunningham-South e Vincent stanno facendo carriere parallele.

Nella foto del titolo, la meta di Brex all’Olimpico contro la Francia (foto Lucia Mazzocchi)

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