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È mancato questa mattina Giancarlo Micheloni, il Miche. Straordinario terza linea, protagonista in serie A negli anni Ottanta con le maglie dell’As Rugby Milano e dell’Amatori. Un talento sconfinato – un Maci Battaglini meneghino per chi l’ha conosciuto – che non ha mai raggiunto la nazionale perché votato a un’esistenza di eccessi. Un personaggio indimenticabile, tratteggiato bene da Marco Pastonesi in questo scritto, “La ballata del Miché”, contenuto nella raccolta “Il XV del Presidente – Rugby, quattordici racconti e una canzone”, progetto del 2012 a cura di Chicco Pessina, i cui proventi sono destinati al settore minirugby del Rugby Rho (lo trovate ancora su Amazon e altri rivenditori online: https://www.amazon.it/del-presidente-Rugby-racconti-canzone/dp/8864900519)

Di Marco Pastonesi

Mischia ai cinque. In attacco. Introduzione nostra. Mischia vinta, pallone tallonato, controllato, uscito. Ripartenza dal lato opposto all’introduzione. Il Miche blinda il pallone sotto il braccio, i primi cinque passi non lo ferma neanche il padreterno, e se poi lo placcano, lui va giù, per forza d’inerzia, oltre la linea. Meta. Sempre.

Sport vietato ai minori e ai minorenni, il rugby, negli anni Sessanta. Il Miche – Giancarlo Micheloni detto Miche – per essere grande, è grande, e per essere grosso, è grosso, e per essere duro, basta solo dargli un ovale per poterlo dimostrare. Quanto al minore e al minorenne, il Miche non dev’esserlo mai stato in vita sua, neanche quando era un bambino. Così nasce la leggenda del più forte rugbista italiano di sempre: la ballata del Miche.

Una formazione dell’ASR Milano, in piedi da sx: Riccardo Morisi (papà di Luca), Stefano Baia Curioni, Micheloni, Pigio Pastonesi (fratello dell’autore), Bellati (Capitano), Gianni Scorsetti, Marco Pavesi, Rodolfo Canella, Claudio Parozzi; Accosciati: Bruno Franceschi, Gianni Amore, Paul Dodds, Mimmo Dama, Enzino Impellitteri, Lele Spangaro

È Roberto Gasperini, trequarti da un anno o giù di lì, a chiedergli di andare a giocare a rugby. Al Pirelli. Milano, quartiere Bicocca, viale Zara, campi da tennis rossi, per via della terra, e campo da rugby verde, per via dell’erba, una rarità, quasi una stranezza, forse semplicemente un miracolo. Sei o sette allenamenti, tanto per capire che per passare il pallone si può farlo solo indietro, che per fermare un avversario bisogna placcarlo basso, e all’altezza delle caviglie vengono giù anche le giraffe, che per segnare una meta è meglio darla a Buccino, Buccino Pietro, professione guardia giurata, l’unico dipendente della Pirelli nella squadra Pirelli, un altro di quelli grandi e grossi e duri, e con dei gomiti taglienti come scimitarre.

Sei o sette allenamenti, poi in campo, serie C, maglia blu, pilone, con il cartellino falso, perché per quello vero ci vogliono mesi. A Dalmine, capitale delle acciaierie, provincia di Bergamo, contro il Bergamo. E’ il Pirelli del maestro Filippo De Gasperi, maestro non per l’arte del rugby, ma per l’arte della pittura, metafisico, dicono, responsabile del prestigioso reparto artistico alla festa dell’uva a San Colombano, una specie di Carnevale di Viareggio però in settembre e in riva al Lambro, nonché allenatore e mediano di mischia, qui più che metafisico è metà fisico, e raramente meta. Così che, quando sono di buona, i giocatori lo chiamano: Maestro. E quando sono di cattiva: Filippo, ma va’ a cagare. Detto anche Capitan Uncino perché, al ritorno da una trasferta rugbistica in Portogallo, che del rugby, si sa, non è proprio la Terra Promessa ma di certe buone compagnie alcoliche sì, i compagni di squadra gli ficcano una bottiglia di brandy nella borsa per cautelarsi nel caso di ispezioni doganali, e lui, De Gasperi, metafisico e metà fisico ma in questo caso anche un bel pirla, si fa cadere la bottiglia a terra.

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Un paio di calendari così, sempre da pilone e sempre in Serie C, che è la Cayenna del rugby, operaio e agricoltore, bracciante e manovale, manovale sembra la qualifica più corretta perché il rugby è più manovalanza che dottorato, insomma vecchie glorie più vecchie che glorie, ai limiti del regolamento, possibilmente oltre, diciamo il classico cimitero degli elefanti: ex A, ex B, ex San Vittore nel senso del carcere, ex San Siro nel senso dell’ippodromo non in qualità di cavalli ma di scommettitori. L’unica novità è l’allenatore, con l’avvento di Pellegatta dall’Amatori al posto di De Gasperi, Pellegatta detto Pelé, anche se ogni riferimento alle straordinarie caratteristiche della Perla Nera è assolutamente casuale e ingiustificato. Pelè porta dall’Amatori un ragazzotto e lo mette pilone al posto del Miche, il Miche non ci pensa su due volte e smette di giocare, non prima di disputare due partite con la squadra juniores, tredici che non hanno mai toccato il pallone prima di quel giorno più il Miche terza centro e uno strabico, 9 a 9 contro il Chicken e 29 a 9, però persa, contro l’Asr. 

In quelle due partite il Miche capisce una cosa: che con i pari età è troppo facile, che c’è più gusto a darle con chi le sa prendere ed eventualmente restituire. E così quando si prospetta l’ipotesi della fusione fra le defunta Pirelli e l’emergente Asr, il Miche va, convinto proprio da De Gasperi, già passato all’Asr, una sera d’estate, al Montmartre di Brera, a coppette di champagne. Il Miche ci va perché ad andare c’è anche mezza Pirelli: Buccino, Pascal, Dama, Bevilacqua, i fratelli Mason e Enzino. Quell’Enzino, che con il Miche è destinata o dividere non solo il rugby ma il resto della vita. Impellitteri Enzino, che come rivela il cognome, e come suggerisce il diminutivo del nome, è un perfetto prototipo sudista d’origine e d’importazione, professione tappezziere, mediano di apertura e all’occorrenza anche di mischia, furbo, svelto, carogna, un po’ bastardo, perfetto per il ruolo, detto “Pompetti” per l’alto gradimento della variazione sessuale. […]

L’intesa fra “Pompetti” e il Miche va be oltre i confini del campo da rugby. Lì non c’è neppure il bisogno di guardarsi per capire cosa fare: calcetto a scavalcare per lo sfondamento del Miche nella metà campo avversaria; finta di aprire al largo e pallone all’interno per il lanciatissimo Miche nei 22 avversari; grandi chiamate di schemi per i trequarti al momento della mischia ai cinque, in attacco, introduzione nostra, mischia vinta, pallone tallonato, controllato, uscito, ripartenza dal lato opposto all’introduzione, il Miche blinda il pallone sotto il braccio, i primi cinque passi non o ferma neanche il padreterno, e se poi lo placcano, lui va giù, per forza di inerzia, oltre la linea. Meta. Sempre. Tanto che il Miche è così abituato a essere placcato e, per forza d’inerzia, ad abbattersi oltre la linea di meta che, quando gli avversari oramai sanno o già evitano, lui si fa lo sgambetto da solo.

Il Miche ha il rugby dentro, come un fuoco, come un destino, come una vocazione. Non è il Gasperini che lo ha portato al rugby, è come se il rugby attraverso Gasperini – che il rugby si fidi di Gasperini è l’aspetto meno convincente del discorso – sia andato dal Miche. Da pilone a terza centro e terza ala, ma all’occorrenza anche centro, anche ala, perfino mediano di mischia per essere il nono uomo del pacchetto, e anche il più grosso, addirittura mediano di apertura perché sa calciare, e con tutti e due i piedi in-dis-tin-ta-men-te.

Una volta anche estremo. Una partita memorabile. Perché anche se ci sono delle avvisaglie, solo alla fine del primo tempo l’allenatore si arma di coraggio e gli comunica che “è meglio se ti sposti di lì”. 

Perché da estremi non ci si improvvisa, da estremi ci vuole il senso della posizione, il sesto, ma non meno importante di vista, tatto, olfatto, gusto e udito. Per amor di cronaca, Miche è pure calciatore: da metà campo, pallone a siluro, gran “pesciada” di punta, decollo, ci mancano solo le hostess a bordo, ma il resto è Alitalia, e niente da invidiare ai jet in partenza e in arrivo nel vicino aeroporto Forlanini alias Linate. Già scritto: il più forte rugbista italiano di sempre. Dell’Asr  il Miche diventa simbolo e bandiera, numero otto e mischia ai cinque, ciclope e vulcano, fortezza e trincera, Serie B e Serie A. E anche quando passa all’Amatori, Serie A, continua a ruggine e tuonare, a ringhiare e ululare. 

La meta più bella con l’Amatori contro il Rovigo, al vecchio Pirelli, quello del primo allenamento con De Gasperi e Gasperini. Pensa te: mischia ai cinque, lato tribuna. Arbitro Campanile da Livorno, e guardialinee Cabrio in tempi non sospetti, cioè ancora da elettrauto e non ancora dai tempi del rugby. Da una parte il Miche, dall’altra Gert Petrus Smal, sudafricano, il più bel numero otto del mondo. 

Introduzione Amatori, mischia vinta, pallone tallonato, controllato, uscito, ripartenza dal lato opposto all’introduzione, il Miche blinda il pallone sotto il braccio, i primi cinque passi non lo ferma neanche il padreterno, figurarsi Smal, Miche inciampa, raschia, ribalta Sma, e va giù, per forza d’inerzia, oltre la linea. Meta. Come sempre. Ma Campanile non la concede –  e non si capisce ancora il perché, neanche Cabrio adesso ad anni di distanza – e ordina di ripetere la mischia. 

Introduzione Amatori, mischia vinta, pallone tallonato, controllato, uscito, ripartenza dal lato opposto all’introduzione, il Miche blinda il pallone sotto il braccio, i primi cinque passi non lo ferma neanche il padreterno, figurarsi Smal, stavolta Miche si abbatte, oltrepassa la linea, schiaccia il pallone, si rivolge all’arbitro e gli fa: “Va ben, inscì?”. Meta concessa e partita vinta. 

«La meta più sorprendente con l’Asr contro il Benetton Treviso, al Giuriati vecchio. Mischia Asr ai loro ventidue, Paul Dodds, mediano di mischia australiano, sta per mettere le mani sull’ovale, invece il Miche porta avanti il pallone con i piedi e poi in un attimo lo raccoglie e riparte, fa una penetrazione di quindici metri finché viene placcato, quattro avversari attaccati alle gambe e due ai capelli, e nelle foto non c’è anima di compagni nei paraggi in generoso sostegno, a questo punto il Miche cadendo dà il pallone a Paul, difesa sguarnita, attacco vincente, meta in mezzo ai pali o quasi. E Paul, in quell’italiano da Stanlio e Ollio, rimprovera il Miche: «Stronso, io e Gianluca avevamo deciso un’altra azione». E il Miche, forse rifacendosi a quanto si diceva di De Gasperi (che quando i giocatori sono di buona chiamano Maestro, quando di cattiva Filippo, ma va’ a cagare ndr) “Mavadaviailcu te e Gianluca». Nella circostanza Gianluca Ragusi, apertura.  […]

Ecco chi è il Miche. Incontenibile, irrefrenabile, insostituibile. 

Perché il Miche è il Miche.

Nella foto del titolo una partenza di Giancarlo Micheloni da mischia. 

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