
In dodici mesi Gonzalo Quesada ha fatto il giro completo. Ha preso una squadra uscita percossa e attonita dal mondiale francese, l’ha resuscitata, o abbiamo creduto che l’avesse fatto, con le vittorie sulla Scozia e il Galles e con il famoso pareggio di Lille. Oggi la ritroviamo sepolta sotto le undici mete della Francia, un record. A Lione erano state “soltanto” otto e avevano fatto molto male. Dopo un passo avanti, ne abbiamo fatti due indietro. O forse non c’eravamo mai mossi dal nostro livello reale, erano stati gli altri a cadere momentaneamente in un buco nero.

Da quando l’Italia disputa il Sei Nazioni, solo in una partita gli azzurri avevano subito più punti, a Twickenham nel 2001, 80-23. Ma quella volta le mete al passivo furono “solo” 10. In casa, settantatré punti non li avevamo mai concessi, tantomeno undici mete. Sono due record negativi.
Gonzalo, il mago “redentore” si guarda intorno smarrito e dice: questa non è la differenza reale tra il rugby italiano e quello francese.
Invece il messaggio accreditato dai più è proprio il contrario: se la Francia gioca così, c’è poco da fare, undici mete e via andare.
Ma non può essere così, non in uno sport professionistico. La Francia è la Francia, non si discute. Ma se la Francia contro l’Italia vale 73 punti (a 24) e undici mete a tre, allora è inutile ragionare.
Che i Coqs fossero favoriti si sapeva, ma Quesada voleva la performance prima ancora del risultato. La performance non c’è stata. A meno di non accontentarsi di un paio di movimenti in attacco, soprattutto nel primo tempo, e di due mete (Menoncello e Garbisi) in prima fase.

La Francia ha potuto produrre la bellezza di 28 off load e è entrata 16 volte nei 22 dell’Italia, marcando quasi ad ogni occasione.
La Francia, si è detto, è ingiocabile per i più.
Ma le 11 mete subite contro la formazione di Galthié, avevano avuto un prologo: l’Italia, a novembre, ne aveva concesse sette all’Argentina e, nella prima di questo Sei Nazioni, cinque alla Scozia. Contro il Galles, sotto il diluvio ne aveva subite due, segnandone solo una. È evidente che la difesa non funziona. In tre partite, 18 mete al passivo, due in più rispetto a un anno fa nell’intero torneo. Gli azzurri hanno subito con il drive da touche, ma vengono infilati spesso e volentieri anche nei corridoi laterali: ricordate la meta di Mallia a Udine, la prima dell’Argentina? Non fu poi così diversa da un paio di quelle innescate da Bielle-Barrey e Attissogbe a Roma. Ma anche a Murrayfield, Van der Merwe e Graham avevano messo in grande difficoltà le nostre coperture all’esterno.

Uno contro uno il nostro triangolo allargato subisce moltissimo la velocità e la fisicità degli avversari: Allan ha mancato due placcaggi, Capuozzo tre, Trulla uno. In mezzo al campo tuttavia non è andata molto meglio: Paolo Garbisi ne ha sbagliati due e Lamaro sette, Moefana più e più volte si è infilato nelle maglie di una difesa sfilacciata dove probabilmente sarebbe servita l’aggressività di Zuliani, in una partita di sacrifico preparata per contenere non per attaccare. Sarebbe finita diversamente? Probabilmente no. Magari avremmo subito un paio di mete in meno. Però chissà.

Un’ultima considerazione: due anni fa, a Monigo, il match tra le due U20 finì 28-27 per i francesi, solo perché Bruniera mancò la (difficile) trasformazione della meta di Douglas al fischio finale. In quella Francia c’erano Attissogbe, che oggi ha 34 partite in Top14 (con Pau), 6 in Challenge Cup e 5 caps, Depoortére, 54 presenze con Bordeaux, 2 caps, e Jegou, 26 match con la Rochelle, 4 caps. Dell’Italia l’unico di quella squadra che ha assaporato il livello superiore è il pilone Destiny Aminu, 5 partite con la maglia Benetton, con una media di 18’ a incontro. Bozzo ha una presenza con Perpignan, Mey tre con Clermont (la scorsa stagione, oggi gioca a Angouleme, in ProD2), Passarella 14’ a Treviso. Nell’Irlanda, punita con il “rosso” di Ringrose, dopo 20’ è entrato Bundee Aki… Nell’Italia, se fosse stato espulso Menoncello (o Brex) con chi lo avremmo sostituito? Meditate gente, meditate.