La prima finale internazionale di football-rugby in Italia fu giocata ottanta anni fa, 8 dicembre 1944, a Forlì, dove esattamente un mese prima l’VIII Armata aveva costretto le truppe nazifasciste a spostarsi un poco più a nord. Spostate di poco: la città, seppure liberata, venne pesantemente bombardata nei giorni successivi e anche il 10 dicembre. Per i pochi abitanti che non erano sfollati sulle colline la situazione restava terribile. Tra gli edifici colpiti in quei mesi anche lo stadio di calcio e atletica “Benito Mussolini”, poi “Morgagni”, teatro pure dei ginnasti dell’U.S. Forti e Liberi. La linea del fronte a pochi chilometri e la desolazione della città semidistrutta dalle bombe non preoccupò più di tanto il generale neozelandese Bernard Freyberg: che cosa volete che fossero quei bombardamenti per una pellaccia che nella prima guerra mondiale era scampato al massacro di Gallipoli e che aveva conquistato la Victoria Cross (l’onorificenza più alta) nell’ecatombe della Somme. Ecco allora, 80 anni fa in quella Romagna che sarà straziata dallo stazionamento del fronte fino alla Primavera dell’anno seguente, lo stadio per la finale dell’edizione 1944 della Coppa che portava il suo nome e per la quale i battaglioni e le compagnie del contingente kiwi lottavano dal 1940, ovvero fin dallo sbarco in Egitto. Nel fango di quel terreno circondato da tribune sbreccate dalle granate si sarebbero affrontati nientemeno che il 22° Battaglione e la 2a Compagnia Ammunition (munizioni).
Un passo indietro. Fino a quell’anno di rugby si sapeva più di qualcosa in Italia, mentre sui bellicosi guerrieri maori le conoscenze erano assai più rarefatte. Degli originali abitanti della Nuova Zelanda si cominciò a parlare e scrivere di fatto solo durante la seconda guerra mondiale: dalla campagna d’Africa, con numerosi soldati italiani catturati dai neozelandesi, alla battaglia di Montecassino, che divenne parte importante della Storia anche delle relativamente giovani vicende del paese della lunga nuvola bianca. Nel secondo conflitto mondiale nasce poi l’epopea del 28° battaglione maori puntellata da 340 croci e 1.200 feriti sui 3.600 nativi che, lasciando un paese di poco meno di due milioni di abitanti, si erano imbarcati dall’altra parte del mondo per rafforzare l’Ottava Armata che risalì l’Italia per liberarla dai nazifascisti. La meglio gioventù di una nazione agli antipodi dell’Italia che si sacrificò per ridare la libertà agli italiani, non dovremmo mai dimenticarlo. E dopo ogni battaglia dai tascapane dei neozelandesi (maori e “pakea”, i bianchi) saltava fuori una palla ovale per sfide tra battaglioni o con gli alleati del Commonwealth. Probabilmente la prima Haka (danza) propiziatoria in Italia, guidata dal capitano Matarehua Wikiriwhi, risale ai mesi tragici di Montecassino. Liberatori dell’Italia e missionari del rugby, insomma, anche se quella catechesi troverà evidentemente orecchie un po’ dure da parte degli italiani.
Allora dovete immaginare lo stupore delle vedette e dei ricognitori tedeschi quando quell’8 dicembre 1944 videro radunarsi nello stadio oltre seimila soldati dell’VIII Armata e che bello sarebbe se oggi saltasse fuori il ricordo di qualche forlivese che da ragazzino si intrufolò fra quelle divise e quei pastrani infangati. Già, il fango. Copriva tutto il terreno di gioco a parte qualche zolla spelacchiata. E fu proprio sfruttando una di quelle che il mediano di apertura Lin Thomas, imbeccato da Bevan, pochi minuti prima del tè riuscì a droppare da circa 33 metri infilando i pali della Seconda Compagnia: 4-0. Punteggio immutato fino alla fine del match, si legge sull’indispensabile “On the ball” di Gordon Slatter (1970), perché davanti a quelle migliaia di fedeli non produssero altro le furibonde battaglie degli avanti che dragavano il fango.
Il generale Freyberg avanza tra gli applausi portando la coppa a lui intitolata: con fare solenne la consegna al capitano della Seconda Compagnia. Ehm, scusi generale, i vincitori sono quelli del 22° Battaglione. “Ah, bene, allora consegno la coppa a loro anche se ritengo che la vittoria la meritasse la Seconda compagnia”, replicò il generale che non cambiava idea facilmente.
Ebbene, in una Italia in cui il Football-Rugby era diventato autarchicamente Palla Ovale e poi persino Rugbi con un’imbarazzante “i” finale, in quella Forlì di 80 anni fa scesero in campo anche Bevan e Argus, poi divenuti All Blacks (Argus anche Maori All Blacks); Kenny, Sherratt poi Maori All Blacks e Cooper, poi giocatore dell’Università di Oxford e, con uno dei quei meravigliosi cortocircuiti del rugby, della Storia e della Geografia, anche della Scozia. Tutti giocatori che dopo quella finale indossarono di nuovo la divisa rischiando la pelle per proseguire la guerra di liberazione fino a Trieste.
Tra i primi a recuperare frammenti fotografici di quel match che irrobustisce di parecchio la Storia del Rugby italiano c’è il forlivese Cesare Sangiorgi (le squadre schierate) e poi, sempre più attiva, sempre più preparata e sempre più avvincente da seguire, l’associazione romagnola no-profit Senio River 1944-1945 il cui scopo è ricordare che il fiume Senio, al confine tra Toscana, Emilia e Romagna, tra l’autunno 1944 e la primavera del 1945, fece da sfondo a una serie interminabile di scontri tra i più duri e violenti della Campagna d’Italia: una battaglia dimenticata ed estenuante, di cruciale importanza per la fine della guerra. Per la storia del 22° battaglione il magnifico sito http://www.22battalion.org.nz/
nella foto del titolo le squadre schierate sul campo di Forlì prima del match