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La giornata tipo ad Atlanta 1996 prevedeva, per via del fuso, una sveglia all’alba, una colazione da rincoglioniti, un tentativo di avviare la macchina e il cervello. Gpo non aveva di questi problemi: arrivava pimpante, in calzoncini molto corti e una canottiera traforata stile maratona anni Settanta: dai buchi spuntavano peli e capezzoli. “Ho scritto 600 righe, il tendy se l’è mangiate tutte (il tendy era un computer tra i primi in uso, poco affidabile…) e così le ho riscritte e ho dormito un’ora e mezzo”. Agli appassionati di storia, letteratura e avventura tornava in mente Lawrence d’Arabia che, in una stazione di Londra, smarrisce il manoscritto di “I Sette Pilastri della Saggezza”, torna a casa e riscrive tutto.
Si parte, si va a Stone Montain, dove fanno il ciclismo su pista. Un bel posto – anche se pare che lì sia nato il Ku Klux Klan – con laghetto, procioni e tartarughe. Le gare non sono ancora finite e Gpo ha già scritto tutto, le conferenze stampa non sono ancora finite e Gpo, piazzato il tendy su un ginocchio, ha già scritto tutto. “Io ho finito”, dice. E io che passo per essere uno piuttosto veloce, devo confessargli che devo ancora cominciare. Nessun problema: Gpo attacca discorso con tutti, espone la sua fede granata a giornalisti turchi ed estoni, parla, telefona.
Quando usciamo dal  tendone, dove fa un freddo dannato, per finire nel solito caldo umido, ci accorgiamo che i trasporti olimpici non funzionano. Atlanta sarà ad almeno cinquanta chilometri, così ci mettiamo a fare l’autostop. Si ferma una bella macchina, forse una Pontiac. Sono due dirigenti Usa del tiro con l’arco, impietositi. Gpo decide che è il momento di avere  un abbiocco e così si mette a dormire, a comando, come faceva Napoleone. “Dormo venti minuti”. Dorme venti minuti, si sveglia: “Russavo, mi sentivo”.
Come dicevano gli antichi greci, credo che Gpo avesse dentro “o daimon”, ma era un demone allegro, simpatico, divertente, perfetto per lasciare tracce indelebili, per fornire racconti che venivano tramandati. Stare con lui era un’esperienza lieve e profonda. Gpo irradiava gioia di vivere che per lui voleva dire scrivere. Scrivere per Tuttosport, per la Stampa, per il Guerin Sportivo, per Famiglia Cristiana e il supplemento per i giovani, pezzi a una velocità vertiginosa (chi stava in redazione non era sottoposto a nessuna attesa), libri di atletica, di ciclismo, di calcio, di personaggi in cui si era imbattuto. Ricordo che un amico gli affidò quella che oggi chiamano newsletter. L’amico gestiva un’azienda di pompe funebri e Gpo mi inviò alcuni numeri del bollettino. Si capiva che aveva scritto tutto lui, così come era capitato per una candidatura aostana ai Giochi invernali: Gpo scriveva tutto, anche i sottoclichè.
“Tristezza, per favore va’ via”, diceva una vecchia bossa nova. Perché lui avrebbe voluto così e perché è giusto sia così in un succedersi di immagini: Gpo che mangia 24 ostriche in place St Michel in un ristorante alsaziano, Gpo che inventa battute che profumano di aforisma: “Cosa risponde il vampiro a cui offrono caramelle? Buon sangue, non mente”, Gpo che decide di correre la maratona e bene o male arriva in fondo a New York e a Torino, Gpo che ostenta la sua fede granata e scrive un Vangelo per il vero anti-juventino. Gpo che batte le strade del Tour e i percorsi olimpici estivi e invernali, Gpo che conosce tutti ma non è geloso delle cose che viene a sapere e le dispensa.
E ora finisco per scrivere una cosa che non vorrei scrivere ma se non è questo il giorno, quale può essere? Molti anni fa il Guerin Sportivo varò una specie di referendum A giornalisti famosi, bravi, influenti veniva chiesto: con chi vorresti fare un giornale? Gpo scrisse il mio nome che credo fosse noto a lui a una ristretta cerchia di amici. Gli sono sempre stato riconoscente. In quel momento ho capito di esser di discreta lana. Lui era di cachemire.
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