La preparazione spirituale alla sfida predicata da Gonzalo Quesada ha il merito di allontanare il fantasma di Lione, contro gli All Blacks l’Italia ritrova la sua dignità, nello stadio santificato al calcio gioca una partita solida, mette a nudo i suoi limiti e prova a passarci sopra, lotta, inventa, sgomita, sbaglia, ma alla fine il risultato (11-29) non ha il sapore dell’imbarcata che tanto male ci aveva fatto un anno fa in Coppa del Mondo.
Il dj set, l’haka e poi la partita, in 41 mila richiamati dalla leggenda in nero sfidano il freddo nel salotto della Juventus, si gioca e l’Italia capisce che deve fare gli straordinari in difesa, regge con ordine e con i muscoli i tentativi di sfondare per linee dirette dei neri, prova qualche rilancio di gioco, ma l’impressione è che quando il ritmo si alza vada fuori giri e arrivi sempre il maledetto errore che blinda ogni sogno di gloria.
Eppure per 23′ lo Stadium culla un sogno proibito, l’Italia è avanti e non sembra vero: all’11’ Ruzza ruba in touche, Page-Relo inventa una pedata da 50-22, touche, bel drive azzurro, per arginarlo i Neri vanno in fuorigioco. Garbisi piazza, l’Italia è avanti. Subito dopo Beauden Barrett pareggia, poi ancora Garbisi dalla piazzola a punire una spregiudicata ostruzione su calcio di invio di 3 giganti che oscurano l’orizzonte a Capuozzo. Altro vantaggio (6-3) azzurro. Sarà l’ultimo.
Gli All Blacks sono fallosi, non danno l’impressione di voler uccidere la partita, aspettano sulla riva del fiume, tanto prima o poi l’occasione giusta passerà. Succede al 23′ quando forzano un punto di incontro nel cuore dei 22 e Fischetti finisce in fuorigioco e non può rallentare l’azione, gli altri ingannati si fermano, nessuno placca, Roigard segna sotto ai pali in inferiorità numerica (al 19′ giallo a Scott Barrett reo di aver atterrato Fischetti con la mossa del coccodrillo).
Potrebbe essere l’inizio del diluvio, ma l’Italia apre gli ombrelli, perde due touche di fila, soffre in mischia e quando ha la palla si fa prendere dalla frenesia, sbagliando quasi sempre l’ultimo passaggio. Prima dell’intervallo gli All Blacks decidono di accelerare, due folate a doppia velocità, Will Jordan avvia e chiude l’azione dopo un funambolico passamano dei suoi. Meta, trasformazione (6-17), riposo. Se nel secondo tempo non si romperanno gli argini si può essere soddisfatti.
Si esce dagli spogliatoi e la partita passa di mano, l’Italia sembra più ordinata, ben disposta in difesa, pronta a rilanciare qualche bella idea d’attacco. Dopo 10 minuti Lienert-Brown gioca da terra per rallentare l’uscita di un pallone azzurro, altra superiorità numerica, ma ogni tentativo di sfruttarla è inutile. Ci vuole mezz’ora, l’espulsione temporanea di Ferrari (falli ripetuti in mischia chiusa), 5 mischie di fila e altrettanti penalties contro, per permettere a Telea di sgusciare sulla bandierina e dilatare il punteggio (6-24). Quando la partita si incammina sul binario della consuetudine arriva la fiammata che dà un senso alla serata di sacrificio: Garbisi fa un calcio-passaggio per Menoncello finito all’ala dopo la rivoluzione dei cambi in corsa, appoggio volante per Zanon, splendido off-load in sottomano e meta del miglior giocatore dell’ultimo Sei Nazioni. Andrebbe benissimo così se lo stesso Menoncello, tradito dall’esaltazione del momento, non decidesse di contrattaccare da dietro la propria linea di meta con un calcetto che diventa assist per Beauden Barrett: accelerazione nel vuoto, difesa sfettucciata, meta che sa di regalo, fine dei giochi. Lione è già un ricordo, dopo la serata di Torino in vista del Sei Nazioni l’orizzonte dell’Italia di colpo diventa meno nero.
Nella foto di apertura la meta di Tommaso Menoncello (Foto Fir)