La Rfu ha denunciato un rosso in bilancio di 42 milioni di sterline e ha licenziato 42 dipendenti, ma l’amministratore delegato Bill Sweeney ha goduto di un bonus di 385.000 sterline che si sono aggiunte al suo stipendio portandolo a 1 milione e 100.000 sterline. Guadagna più lui di Finn Russell, ex-scalpellino arrivato al vertice dei guadagni ovali. Poca roba rispetto al calcio, ma il dopo-rugby è assicurato.
In trent’anni il rugby è cambiato così tanto che, parafrasando Oscar Wilde, guardando non si riconoscerebbe. E, sempre utilizzando le genialità del magnifico irlandese, conserva in qualche sua stanza segreta un ritratto che denuncia le spietate mutazioni occorse in quest’era tumultuosa lungo la quale molto è stato cancellato. Della vecchia chanson de geste è rimasto molto poco. O niente.
Oggi si parla di nuove frontiere, di denaro che continua a scorrere ma pare non basti mai. La Rfu ha una cornucopia che si chiama Twickenham che, oltre a incassi stratosferici (si fa presto proponendo una media di 229 sterline a biglietto) ha fruttato 100 milioni per la cessione del nome della Fortezza ad Allianz.
Per usare un’immagine molto banale, il rugby ha fatto un passo più lungo della gamba, più incassa, più spende ed è sufficiente non giocare i test novembrini, come l’anno scorso, per avvertire che il serbatoio si svuota rapidamente. Troppi impegni: i contratti con un buon numero di giocatori della Rosa, le previdenze per l’alto livello da estendere ai club (264 milioni nell’arco di otto anni), la preoccupazione per una base, soprattutto a livello scolastico, che non appare più come una vigna generosa.
Il Galles è in una profonda crisi multipla, tecnica, finanziaria, di rapporti con le franchigie e con le squadre di quelle valli che erano la linfa; l’Australia, che tra poco più di sei mesi deve ospitare i Lions e nel 2027 la World Cup, naviga in perigliose acque economiche: molti All Blacks volano in Giappone per giocare nel campionato governato dalle grandi corporazioni; le compagnie di ventura degli isolani si aggirano, pronte ad accettare ogni tipo di offerta.
Quale è la risposta a questa Babele dove l’unica lingua parlata e comprensibile è quella del denaro? Dal 2026 la Nations Cup, dal 2028 il Mondiale per club. E, a seguire, sfornare sempre nuove regole, giocare di più, produrre, cercare nuovi mercati, spingere verso la fuggevole fascinazione di luoghi singolari che possono regalare un giorno da leoni.
Non è il caso di rimpiangere i tempi dei vecchi tromboni che sorseggiavano uno sherry e dettavano i loro tempi lenti, aristocratici, anacronistici?