La resurrezione dell’Australia comincia a Twickenham dove 40 anni fa andò in scena un atto dello Slam contro le vecchie Union. Dopo essersi buttata via con gli All Blacks, l’Inghilterra vince diversi segmenti del match, sembra mettere le mani sulla partita e la smarrisce quando il cronometro ha superato quota 83 minuti. Steve Borthwick sempre più sotto assedio.
Punteggio altissimo (37-42) e conseguente tasso di emozioni e di colpi d’alta scuola. Quello che ne offre di più è Marcus Smith che propizia almeno tre segnature. Il calcetto per una delle due mete di Sleightholme manda bagliori di classe, scintille di sicurezza nei propri mezzi.
L’inizio è solo inglese: doppietta di Cunningham-South e il forte sospetto che i Wallabies possano andare incontro a una delle dure punizioni che fanno parte della loro tabella di marcia. Joe Schmidt gioca la carta Sua’ali’i, giovane stella della League, che non frequentava la rugby union da quando aveva 15 anni. Il tecnico neozelandese viene ripagato: Joseph abbandona subito il ruolo di pesce fuor d’acqua, per offrire passaggi non accademici ma molto efficaci. Il suo assist per Wright sembra venire più dal basket.
Primo tempo (18-20) giocato a ritmi forti, secondo con molti piedi premuti sull’acceleratore. Kellaway, che aggancia un brutto passaggio di Ford e va in meta, sembra piantare il chiodo sulla bara della Rosa, ma Itoje, mentre il tempo sta scadendo, risolve una serie di cariche vicino alla linea e Smith trasforma. Sorpasso e controsorpasso.
L’Australia conquista la palla, la mantiene a lungo, sembra che cerchi un calcio o un drop. Tre passaggi improvvisi e ovale a Jorgensen che va fino in fondo. L’Australia non è morta, l’Australia sta rinascendo dalle proprie rovine.