Nella domenica del ricordo, i trombettieri di Twickenham e di Cardiff, il suonatore di cornamusa di Murrayfield, una pioggia di papaveri sui maxi-schermi, sulle maglie dei giocatori, sui vestiti della gente, il silenzio del rispetto.
A Udine il solito urlatore. Eppure Redipuglia e Aquileia non sono lontane. Sono le nostre Ypres, dove ogni sera sotto l’arco, mosaico di nomi, risuonano le note del ritorno in caserma.
I papaveri, i poeti-soldati, la memoria che rimane salda. Il rugby, cambiato, stravolto, continua a mantenere questi momenti, a commuoversi e a commuovere con queste piccole, semplici parentesi in cui tornano suoni, ricompaiono vecchie divise, bandiere. Molti capiscono, conoscono la storia, sanno che a Mons, nell’estate del ’14, iniziò la lunga stagione dei papaveri, fiori effimeri come la vita, rossi come il sangue, che sarebbero cresciuti, una primavera dopo l’altra, su quella terra sconvolta, e dopo avrebbero invaso gli sterminati cimiteri (di quelle ordinate distese parla, in un magnifico racconto molto sentito e molto commosso, Rudyard Kipling che nel ’15, vicino a Loos, aveva perso il figlio John) che riuniscono quelli che hanno un nome ai tanti ignoti.
A St Symphorien, non lontano da Mons, hanno riunito Tom Parr, del 4° Middlesex, a George Price, della fanteria canadese, l’alfa e l’omega di questo macello: Tom cadde il 21 agosto 1914, George l’11 novembre 1918, poco prima che fosse firmato l’armistizio e che l’undicesima ora dell’undicesimo giorno dell’undicesimo mese spegnesse il fragore e la follia. Ora sono due papaveri.