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Giulio Arletti, la Lega Rugby, il nuovo soggetto di cui lei è presidente, avrà una posizione comune alle prossime elezioni federali?

No, la Lega Rugby lascerà i propri associati liberi di esprimere la loro preferenza in autonomia e secondo coscienza, proprio perché essendo di nuova costituzione e non avendo ancora la piena e più totale fiducia nell’unità di intenti degli aderenti non può permettersi di affrontare argomenti divisivi, ne va della nostra sopravvivenza iniziale che deve oltrepassare i limiti dei singoli per aprire le porte alle opportunità comuni.

Dunque la vostra unione non è così solida…

No, sarebbe molto bello che dieci realtà in competizione sportiva tra loro fossero sempre d’accordo su tutto quando si tratta dell’interesse del movimento, purtroppo però è nell’indole di questo paese prediligere il favore personale al bene comune Per me un’unione è tale dal momento in cui su ogni punto ci si confronta per risolvere i contrasti prima, per poi proporre opportunità che serviranno a tutti. Un po’ il contrario di quello che si è visto nel rugby italiano degli ultimi 15 anni ed esattamente l’opposto di quello che accade oggi.

Cosa intende esattamente con questa ultima frase?

Fondamentalmente penso si sia sbagliato tanto, si è andati alla ricerca di un “Alto Livello” curandone la creazione ed il mantenimento con metodi più utili a pochi fortunati che a tutto il movimento e non sempre si è puntato sui migliori prospetti ma su quelli più vicini a chi guardava. E infatti i risultati, in termini di numeri, secondo me sono stati deludenti. Penso che il problema non è stato tanto dell’Accademia in sé che, per gli obiettivi che aveva, ha prodotto la gran parte dei giocatori che oggi sono nelle franchigie e in nazionale. Il problema è come è stato gestito l’intero sistema, il professionismo, o semi professionismo dei giocatori, la questione richiederebbe un bel confronto sul tema “rugby di vertice – rugby di base e passaggi intermedi”.  Si è puntato tutto su un sistema di vertice, centri di formazione-accademia – franchigie – nazionali, ignorando che il vertice alla fine non sta in piedi se manca la base. Non possiamo compiacerci di avere novanta giocatori professionisti in tutto il paese, pensando con questi di poter competere ai massimi livelli internazionali. Il rugby italiano non possono essere novanta giocatori, o i trenta della nazionale.

Non siamo stati in grado di fare di questo sport un’attività condivisa, apprezzata e conosciuta dal nord al sud del Paese

A volte l’impressione è che teniamo in piedi una struttura a esclusivo vantaggio di quei pochi che ne occupano le cariche, godendone dei privilegi. Tutti si sono limitati a gestire quello che c’è o che arriva da World Rugby, 6N o EPCR senza mai preoccuparsi di lavorare bene per crescere qui in Italia. Anzi il rugby qui è stato gestito dividendo il movimento perché la litigiosità dei club è cercata e funzionale ai privilegi e ai poteri federali, l’imposizione di decisioni (spesso contrarie ad un principio di crescita) non sono altro che tentativi utili solo a cambiare qualcosa senza alcuna progettualità. Poi qualche scelta è andata anche bene per carità ma tante anzi troppe sono andate male, il peggio però è che ormai l’intolleranza verso la base viene manifestato apertamente dalle più alte cariche federali anche alla base stessa, quando si sente dire che i soldi arrivano solo dall’alto livello in realtà si dovrebbe percepire solo un’ammissione di incapacità manageriale.

 Eppure il ranking mondiale ci vede in una posizione tra le più alte mai raggiunte dalla nostra Nazionale non pensa di esagerare?

Non potrei esserne più felice sinceramente ma questo non toglie che il movimento stia deperendo e chi si assume la responsabilità (anche se fittizia) di guidare una federazione sportiva deve avere a cuore le sorti di tutto il movimento in tutti gli ambiti, deve operare con trasparenza ed assolvere il compito che il movimento gli ha affidato con rispetto e comprensione di tutti. Posso anche soprassedere sugli ormai noti giochetti di palazzo per colpire anche solo chi muove una critica e tralasciamo pure l’uso delle procure sportive per deferire o interdire chi si permette di dare una visione diversa… Il punto è che se la federazione è la casa di tutti noi, le sue pareti devono essere di vetro. Nessuno deve sospettare che al suo interno avvengano favoritismi, atti dettati dalla convenienza politica. Se nascono questi sospetti il clima inevitabilmente diventa irrespirabile. Ed è quello che è successo nell’ultimo periodo.

Pertanto lei non sosterrà la rielezione dell’attuale governance, giusto?

Giustissimo, d’altronde come potrei? Il nostro tentativo di aiuto per un ritorno al buon senso era dovuto per rispetto istituzionale ma non è stato mai considerato anzi forse nemmeno ascoltato, posso pensare invece che è stato preso come un affronto e da quel momento anche il club che presiedo è stato ritenuto un avversario politico, da qui ne deriva – abbiamo la certezza – che anche la Lega venga considerata tale. La cosa mi fa un po’ sorridere ma è così a tal punto che in caso di rielezione dell’attuale governance sarò costretto in primis, a rassegnare le mie dimissioni  sia dalla Presidenza di Lega per evitare ritorsioni e sia dalla Presidenza del Viadana per non arrecare ulteriori danni oltre a quelli già subiti, in secondo luogo perché chi decide di sostenere uno sport per pura passione, ma soprattutto mettendoci il proprio tempo senza alcun tornaconto (oggi è cosi) desidera almeno la contropartita del divertimento e di questi tempi, a parte quelli che giocano, ci si diverte molto poco, glielo assicuro.

Quindi eliminata la carta Innocenti, chi fra Duodo e Giovanelli?

Per carisma, simpatia e determinazione, dodici anni fa quando presiedevo un club di serie C avrei quasi sicuramente votato per Massimo Giovannelli, ma allora come anche poi in serie B la Federazione era per me un soggetto astratto tanto assente quanto inutile in termini operativi per quella dimensione di club, a quel livello si gioca e si pensa a stare insieme e divertirsi e basta. Oggi dopo 5 anni che presiedo un club di Elite capisco molte più cose rispetto allora, il semiprofessionismo è un mondo completamente diverso, è soggetto a moltissime delusioni ed altrettante soddisfazioni, siamo nell’anticamera del professionismo e questo comporta altissime responsabilità su scelte e decisioni di atleti e staff tecnici e strutture dirigenziali, da qui più di qualcuno può davvero partire per le stelle, e poter pensare di contribuirvi lavorando bene è motivo di grande orgoglio.

Voi club vi sentite snobbati?

Al punto tale da aver assistito, di recente, alla nomina a capo della Serie A Élite di una figura estranea a tutti e senza alcuna conoscenza in materia, il cui compenso è stato trattenuto da quel poco che arrivava ai club di vertice. E cosa ha detto questa persona? Che “l’Elite è un campionato invendibile”, frase che rimarrà scolpita nella memoria degli increduli maggiori finanziatori del rugby italiano. Invece di favorire gli investimenti dei privati, nei club, nelle strutture del rugby di base, invece di aiutarli nei loro sforzi li si irride con dichiarazioni di questo genere. Per che cosa? Per dire che conta solo l’alto livello perché è da li che vengono le risorse del rugby italiano.

Insomma perché Duodo?

L’ho conosciuto da poco ma sono ormai anni che con PALC mi confronto e mi scontro anche memore degli errori del passato, Andrea ha da subito dimostrato una grande capacità in fase di ascolto e un ammirevole dote comunicativa propensa al dialogo con una sana intelligenza nell’evitare lo scontro anche di fronte a provocazioni ben al di sotto dell’accettabile, ho avuto modo di confrontarmi con lui sugli stessi argomenti che ho affrontato con Giovannelli e la cosa che mi ha fatto più piacere è che avevo di fronte una persona desiderosa di far bene ma che sapeva di non potersi ne esporre in promesse non necessarie né in frasi d’effetto utili alla mera causa dell’elezione, abbiamo sempre parlato del futuro consapevoli che sarà dura e che nessuno ha bacchetta magica, ma la propensione al lavoro non manca e da lì dobbiamo ripartire, ma la cosa che più mi ha convinto a sostenerlo è che il rugby ha più bisogno di un Duodo di quanto un Duodo abbia bisogno del rugby, e purtroppo non penso sia altrettanto cosi per gli altri candidati. Il rugby va trattato bene sempre e ovunque in modo tale da tornare ad essere lo sport più bello del mondo almeno per noi appassionati.

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