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Dal numero di Allrugby dello scorso mese di giugno, l’intervista a Victor Jimenez, che da questa stagione avcrà il comando delle operazioni a Padova, dove sulla panchina del Petrarca ha sostituto Andrea Marcato, passato alla Nazionale U20

La finale del 2 giugno, per Victor Jimenez, ha rappresentato un crocevia fondamentale della sua carriera ovale: di fronte c’erano le due squadre cui ha legato maggiormente la sua carriera in Italia. Il Viadana, con cui da giocatore vinse lo scudetto del 2002 e che poi ritrovò da allenatore nel 2019, e il Petrarca, dove da tecnico è stato al fianco di Andrea Marcato nelle ultime quattro stagioni, conquistando altrettante finali e, con quello di quest’anno, due titoli tricolori. 

Con il passaggio di Marcato alla Nazionale U20 e all’accademia di Treviso, a Padova, nel prossimo campionato sarà Jimenez, alla soglia dei 54 anni, ad avere la responsabilità della guida tecnica del club, insieme con Paul Griffen.

“Fin da quando sono arrivato in Italia, all’inizio degli anni Duemila, ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto un giorno approdare in Veneto, in uno di quei club dove c’è la maggiore tradizione rugbistica del paese, Treviso, Rovigo, Padova. Per questo sono grato al Petrarca, che nel 2020 mi ha dato questa opportunità e che adesso mi offre un ruolo di ancora maggiore responsabilità. Certo, a Viadana ho tanti amici, molti dei protagonisti di questa finale, nella stagione 2019/2020, li avevo avuti come giocatori, però quando poi arriva il momento della partita è chiaro che ognuno vuole vincere. Ci tenevo per me, per orgoglio personale, per il lavoro fatto in questa stagione”. 

Ecco, parliamo della stagione: era cominciata con due pareggi, si è rimessa in carreggiata con una vittoria contro le FFOO, conquistata grazie a una meta di Scagnolari a quattro minuti dalla fine, ha vissuto il suo momento più difficile a cavallo di Natale, poi è finita in gloria. 

“Diciamo che avevamo deciso di proporre alla squadra un gioco un po’ più di movimento e che all’inizio lo abbiamo accompagnato con tanti errori: segnavamo di più, ma concedevamo anche tante mete”.

Marcato in una precedente intervista ha messo in evidenza anche il problema delle squalifiche, quelle comminate dopo la famosa amichevole con il Rovigo, il che vi ha fatto arrivare all’inizio del campionato privi del ritmo partita.

“A causa delle squalifiche (31 per squadra, ndr) abbiamo dovuto cancellare l’incontro con il Benetton, che sicuramente sarebbe stato per noi una verifica di livello superiore, però è anche vero, a prescindere da ciò, che avremmo potuto partire meglio e fare di più”.

Poi c’è stato quel periodo terribile tra dicembre e gennaio, quando di cinque partite ne avete perse tre e pareggiata una…

“La svolta è stata la sconfitta a Viadana, il 7 gennaio. Dopo quella partita ne abbiamo persa una sola, a Rovigo, a fine marzo. A Viadana non avevamo meritato di perdere, siamo stati sconfitti da un calcio di punizione a pochi minuti dalla fine, dopo un match giocato nel fango in cui i ragazzi avevano dato tutto. Il gruppo è rimasto sempre unito e quello che molti hanno mancato di prendere in considerazione nell’analisi del nostro rendimento è che in questa stagione abbiamo pareggiato tre partite e, delle quattro che ci hanno visti sconfitti, due, quelle con il Rovigo, le abbiamo perse per due punti, e le altre due, Mogliano e Viadana, con un distacco di uno. Lyle quest’anno ha giocato solo sei partite e ha messo a segno in totale 67 punti, compresi quelli della finale, in cui era al 50% del suo potenziale. L’anno scorso di partite ne aveva giocate 16 e i punti erano stati oltre cento in più (179, ndr). Intendo dire che anche nelle passate stagioni abbiamo avuto periodi complicati, ma con uno come Scott magari alla fine vincevamo, perché stiamo parlando di un giocatore da 10/15 punti a partita”. 

Andrea Marcato e Victor Jimenez  (foto Stefano Delfrate)

La finale però l’avete sempre avuta in mano.

“L’abbiamo preparata sapendo del loro entusiasmo, della pericolosità dei loro attaccanti con i palloni di recupero, abbiamo voluto evitare di regalargli turnover con i quali avrebbero potuto farci male”.

Conquista, possesso, difesa, controllo delle fasi statiche…

“Niente di nuovo sotto il sole… Il Sudafrica con il dominio in mischia ha vinto il Mondiale…”. 

Com’è stato in questi anni il rapporto con Marcato?

“Splendido. Un rapporto di lavoro che è diventato anche di amicizia. Andrea è bravo, è uno che pensa molto, è preciso, competente, ha fatto il percorso giusto, può crescere ancora. Mi lascia una responsabilità importante, perché è vero che le decisioni le abbiamo sempre condivise, ma alla fine, il capo era lui. Adesso toccherà a me assumere questo ruolo”.

E Paul Griffen?

“Paul non lo conoscevo così bene. Ci ha dato equilibrio, è uno sempre positivo, che sa trarre il meglio da ogni giocatore. Diciamo che la prossima stagione a me toccherà il ruolo del poliziotto cattivo (ride…), lui farà quello buono”. 

Avrai in squadra anche tuo figlio Mattia, mediano di mischia della Nazionale U20.

“Ho già proibito a tutti di riferirsi a lui come “mio figlio”. Sarà Mattia Jimenez e basta. E tra me e lui i patti sono chiari: prima lo studio, poi il rugby”.

Non vedi per lui un futuro da professionista con il pallone ovale?

“Nel rugby, come in tutti gli sport, ci vuole fortuna. Io me la sono cavata, ma non puoi puntare tutto su quello. E oggi rimpiango di non avere un titolo universitario e di non conoscere bene l’inglese: due elementi che sono importanti entrambi. Per questo al primo posto deve mettere lo studio della lingua e la laurea in Scienze motorie. Quest’anno aveva la possibilità di partecipare a due competizioni internazionali importanti, il Sei Nazioni e il Mondiale, ed era giusto che cogliesse questa opportunità. Ma per le prossime stagioni sa già che lo studio e l’inglese sono le priorità”.

(Photo by Emmanuele Ciancaglini/Federugby via Getty Images)

Torniamo al campionato, non perché l’avete vinto voi: è stata una competizione di valore?

“Credo che sia aumentata la propensione al gioco, e anche l’intensità. In alcune partite il tempo effettivo ha avvicinato quello dell’URC e anche gli arbitri, da un certo momento in poi, hanno fatto in modo che si giocasse di più, hanno parlato molto, hanno favorito il ritmo e il gioco”.

Restano da definire gli obiettivi che il movimento vuole assegnare a questo campionato.

“Per me è un torneo in cui i giovani possono crescere per avvicinarsi al livello delle franchigie. Parlo dei ragazzi che sono passati da Padova in questi ultimi anni e con i quali il Petrarca ha giocato disputato le finali, qualcuna l’ha vinta: penso a Lorenzo Cannone, a Di Bartolomeo, a Spagnolo, a Hasa,  a Canali… Prima c’era stato anche Paolo Garbisi. Poi ci sono giocatori che potrebbero ancora dire la loro a livello superiore, come Tito Tebaldi… Per me dev’essere un campionato che premia i più bravi, chi si mette in evidenza, chi gioca e cresce può salire e passare a una franchigia, alla nazionale, allo United Rugby Championship”. 

È un campionato che però ha poca visibilità.

“Ha bisogno di essere promosso a livello di marketing, ha bisogno di idee. Non può sempre avere i 4/5.000 spettatori come in qualche derby, o per la finale, ma con l’opportuna promozione potrebbe attestarsi sui 2.000/2.500 e sarebbe già un passo avanti rispetto alla situazione attuale”.

Victor Jimenez è stato l’allenatore degli avanti delle Zebre dal 2014 al 2017 (foto Stefano Delfrate)

Si può fare un paragone tra il rugby di adesso e quello che giocavi tu quando hai vinto lo scudetto da giocatore con il Viadana?

“Non sul piano dell’organizzazione, dell’intensità, dei mezzi a disposizione, della preparazione fisica attuale. Anche allora c’erano buoni giocatori, che oggi potrebbero sicuramente ben figurare inseriti nei sistemi attuali. Penso a Matt Phillips, a Dellapè. C’erano Mattia Dolcetto e un leader come Mario Savi, era un gruppo molto unito che mi ricorda quello del Viadana attuale”.

Che differenza c’è tra Viadana e Padova?

“I confronti sono sempre antipatici, Viadana rispetto al Petrarca è un club più giovane, si è affacciato all’alto livello più di recente, vive di entusiasmo, a Padova c’è la storia del rugby italiano, c’è tradizione…”.

Come alla Juve? Victor ride, la risposta rimane nell’aria. 

La foto del titolo è di Stefano Delfrate

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