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Con il numero 187 (gennaio 2024) Allrugby ha cominciato a pubblicare una serie di dossier dedicati alle grandi città per capire lo stato dell’arte – e di salute – di centri ricchi di praticanti e di opportunità e che stanno, seppur timidamente, producendo atleti per l’alto livello. 

La Lombardia ha ora un solo club in Serie A Élite (Viadana) ma la sola Milano ne ha quattro in seconda divisione: Parabiago, Cus Milano, As Rugby Milano e Amatori Union. Sono tornati in auge i derby, c’è fermento e ogni squadra sta avviando progetti per evitare che i migliori prospetti debbano andare all’estero o in altre regioni per inseguire il sogno del professionismo. 

 Ci sono tanti milanesi convocati nelle selezioni giovanili ma anche tanta frammentazione. Di risorse, competenze e prospettive. Ne abbiamo parlato a lungo e con tutti. 

di Federico Meda

 “Milano però attira di nuovo giocatori, questo è innegabile. Perché è meglio di Tirrenia o Remedello. I ragazzi studiano o lavorano in città e quindi giocano poi in un club milanese.  (Paolo Ragusi, Cus Milano)

 “Cosa possiamo fare da grandi? Possiamo anche rimanere così ma ha senso avere sei derby e non valorizzarli?” (Paolo Simi)

 La Rotonda della Besana è un complesso tardobarocco a pochi passi dal centro che si compone di un bellissimo porticato, di un giardino curato e di una chiesa a croce greca – in origine un refettorio – che da alcuni anni ospita il Muba, il museo dei bambini. È proprio in questi giardini che tre amici, con la maglia di Ospreys, As Rugby Milano e Springboks, vengono immortalati bambini in una foto di qualche anno fa. La stessa posa viene riproposta lo scorso novembre a Rieti, al termine di Italia-Irlanda U18, finita 31-27 per gli azzurrini. Si riconoscono il player of the match, Edoardo Todaro, Alessandro Ragusi (decisivo dalla piazzola) e Giacomo Morandino. Tutti e tre milanesi, tutti e tre in Nazionale. Un paio di anni fa su Allrugby avevamo ragionato della Lombardia, regione con più club d’Italia ma poco propensa a produrre campioni, ora però si affacciano più milanesi nelle convocazioni, un club come l’As Rugby Milano si è legato al Benetton Treviso, a Parabiago ha sede il polo di sviluppo federale e in Serie A quest’anno si disputeranno 6 derby. Però le invidie e la concorrenza sono rimaste quelle di sempre, le stesse che avrebbero fatto a dire al Presidente Federale che “il polo di sviluppo lo mettiamo a Parabiago, perché voi litigate sempre”.

 Abbiamo iniziato parlando di Edoardo Todaro e Alessandro Ragusi, entrambi 2006, entrambi milanesi ma né l’uno né l’altro giocano sotto la Madonnina. Il primo è a Ipswich, in Inghilterra e il secondo è a Parigi, sponda Racing. Come per altre professioni, Milano non è Londra o Parigi? È un’eccezione o è la tendenza? “I profili interessanti che a 15 anni sono andati via perché Milano non era, ma in parte non lo è ancora, in grado di offrire una qualità di quel livello ci può stare”, ci spiega Francesco Fantoni, direttore sportivo dell’As Rugby Milano, “ma si sta correndo ai ripari, chi più chi meno, per offrire un livello formativo più alto”

Una formazione dell’AS Rugby Milano, una delle tre formazioni del capoluogo lombardo che giocano in Serie A

Beppe Fulgoni non si ricorda nemmeno quando ha iniziato a occuparsi di Cus Milano (17 anni fa? O sono 15? Forse 16”) ma gli sembra le cose siano rimaste sempre le stesse. Nonostante un Giuriati completamente rinnovato dal Politecnico, un progetto Grande Milano che sembrava la panacea di tante divisioni ma che è passato di moda. Forse, e non ha tutti i torti, è il solo rimasto ancorato al principio che “a rugby devono giocare tutti. Siamo per un rugby inclusivo”. Attività nelle scuole, tornei, giornate aperte (chi si ricorda Rugby nei parchi?) non hanno anche cambiato un’altra cosa: “i milanesi. Tuttora non sanno nulla di rugby. Vi dò un dato, facciamo attività in sei scuole, tra elementari e medie. E una delle prime domande è: “A rugby si gioca con la maschera?”. Vi tralascio il coro di risposta, ci arrivate da soli”. Il nostro sport piace a tutti, le maestre sono entusiaste (“quale altra attività sportiva è portatrice sana di valori, regole e disciplina come la nostra?”) ma poi il ritorno dei tesserati è risibile. Tre squadre in Serie A sono una gran cosa? Insomma. Lo spettacolo è misero, il pubblico è formato dai parenti o poco più e sono pochi quelli con cui parlare di rugby con competenza. I paragoni sono forti ma il rugby in Francia lo conoscono tutti perché c’è sempre qualcuno in famiglia che lo pratica, che va allo stadio, che lo segue. I migliori milanesi dovrebbero ambire almeno – almeno – all’Élite. Invece sono costretti a trasferirsi o a non avere la possibilità di realizzarsi pienamente”.

 “A me sembra che dietro questa nidiata del 2006 ci sia poco”, è l’esordio di Enzo Dornetti, “c’è Parabiago con il polo di sviluppo e le altre tre, Cus, Asr e Amatori che hanno buoni numeri e alcune under con la doppia squadra ma la qualità non è uniforme. Avevamo il capitano della Under 20, Quattrini, ma poi si è fatto male. Anche il capitano dell’Under 18, Miranda, è milanese ma ora gioca alla Capitolina perché studia alla Luiss”. La verità è che manca un progetto per andare davvero a contrastare le venete che per praticanti e giocatori di alto livello sono tradizionalmente più avanti. Con nessun club che vuole/può salire in Serie A Élite per motivi di soldi, trasferte e rosa, il problema poi si riverbera a livello giovanile: tutte le Under 18 si meriterebbero l’élite e in realtà la fanno solo in due (Cus e Asr) e le altre si accontentano del meritocratico. “Però così abbiamo la possibilità di far giocare i migliori prospetti già in Serie A”, dice Daniele Porrino, direttore tecnico a Parabiago.

Una selezione giovanile del Cus Milano

Daniele Porrino si intende di franchigie, ha vissuto sulla sua pelle le fusioni nel bresciano (Leonessa) e a Parma (Crociati) che non hanno funzionato benissimo. Dal maggio 2022 è a Parabiago, società che ha come obiettivo di creare un polo di formazione completo di foresteria “non solo per i ragazzi italiani ma anche per quelli provenienti dall’estero”. La proposta del centro di formazione federale – “vengono da noi a vedere come lavoriamo, le visite sono frequenti: Mazzantini, Grassi, Brunello, Dolcetto. Sia per il progetto sia in amicizia” – si arricchisce di masterclass (alcune a pagamento), con ospiti internazionali: “Sono venuti Philippe Doussy, Rory Teague – che ha lavorato con Eddie Jones, ora è in Francia. Poi abbiamo un progetto con lo Stade Toulousain, per la formazione dei tecnici in Francia. Stiamo cercando di strutturarci per accrescere e migliorare l’offerta formativa: ad esempio ai 50 giocatori dell’Under 16 proponiamo il doposcuola, per aiutarli a studiare, poi ci sono la palestra, il GPS, il nutrizionista. Un percorso guidato per diventare un atleta di buon livello.

Non vogliamo andare in Serie A perché non vogliamo spendere un milione di euro. Non ci interessa e non c’è ritorno sulla comunità. Meglio diventare un Academy”.

 Un problema molto milanese ma spesso il tallone d’Achille delle realtà cittadine sono le risorse. In provincia il tessuto imprenditoriale che punta sul rugby ha degli effettivi ritorni di immagine, pensiamo a Parabiago, la cui unica presenza in Serie A in qualsiasi sport è nel rugby. E quindi si spiega così il fatto che alcune realtà, pur disputando con lo stesso profitto la categoria, abbiano budget fino a tre volte tanto gli altri. “E quando ci penso”, spiega Fantoni “mi viene da fare un paio di considerazioni: altri usano male le risorse a loro disposizione? E, a parte questo, che senso ha avere una seconda divisione nazionale di livello mediocre ma con giocatori che non provengono dal club che li ha cresciuti?”.

Più dei soldi e della competitività, però a mancare a Milano è un’altra cosa: i tecnici.

“Li formi, inizi a dargli dei rimborsi”, racconta Fulgoni (Cus Milano), “non alti ma commisurati alla categoria, al nostro sport – e appena trovano un lavoro vero non vengono più e devi ricominciare da capo”. Fantoni (Asr Milano): “Noi come Asr stiamo investendo molto perché vogliamo rispondere alla domanda “In mano di chi diamo i nostri ragazzi?”. E forse siamo gli unici a farlo in questo momento”. L’obiettivo, neanche troppo segreto, dei biancorossi è di diventare un punto di riferimento per la città, “come Treviso è diventata per il Veneto, offrendo qualcosa che gli altri non potevano dare. Perché se sei allo stesso livello, o comunque la percezione è quella di club paritetici, perché dobbiamo darvi i migliori prospetti? Treviso con il passaggio alla Celtic League ha fatto così e ora i club del territorio si avvalgono dei loro allenatori e giocatori per ampliare l’offerta formativa e i migliori giocatori vanno alla Ghirada. Vorremmo essere lo stesso per il bacino milanese”.

 “Il rapporto ottimale tra giocatori e tecnici è di 1 a 10. Però quando mi ritrovo una Under 16 da 90 ragazzi come facciamo a trovare 9 persone per seguirla?”. Luca Varriale, già giocatore di Frascati, Lazio e Capitolina e, come tecnico, passato da Napoli (Afragola) e da Noceto è l’head coach dell’As Rugby Milano. Un club in salute, organizzato ma che sta affrontando una transizione di mentalità che, è questa la vision, passa molto dallo staff tecnico: “A Frascati, realtà che conosco bene, tutti gli allenatori devono avere il patentino, partecipare a stage di aggiornamento e sono spesso in giro ospiti di altri club. Qui invece molti sono giocatori prestati al settore giovanile o appassionati di lungo corso. Stiamo cercando di professionalizzare le figure perché per passare da due/tre allenamenti a settimana – quando sono arrivato – a 4 come adesso – e magari in futuro a 5 – hai bisogno di maggiori e più diversificate competenze”. Perché in fondo il ragionamento è chiaro: se pretendi che i giocatori vengano devi farli imparare, altrimenti preferiscono stare da un’altra parte. “Se hai solo volontari, è ovvio che non puoi coinvolgerli durante la giornata ma limitatamente al tempo in cui sono al campo. Abbiamo invece puntato su una persona per ogni under che sia a tempo pieno con il club, affinché si possa interagire con riunioni e confronti in maniera continuativa”. Arrivare da fuori, con esperienze in club strutturati come quelli di Varriale, permette di capire la mentalità del rugby a Milano. E il giudizio non è lusinghiero: “Ci sono grandi club e c’è materiale su cui lavorare, anche solo il fatto che il campionato quest’anno presenta ben 6 derby, più altre 6 sfide con Parabiago, senza dimenticare le giovanili. Ma non c’è spirito di condivisione di questa ricchezza”. L’anno passato, dopo tanti anni di assenza, c’è stato il ritorno della stracittadina in Serie A e, al Giuriati, Cus Milano e Asr hanno riempito l’impianto, con fumogeni e banda di fiati. “Uno spettacolo, però non esiste l’idea di fare allenamenti congiunti, attività social congiunta. Perfino le amichevoli pre stagione dobbiamo farle fuori, il che comporta perfino dei costi. A me piacerebbe fare un “touch” natalizio con tutti i club ma non ci sono i presupposti. Dobbiamo renderci conto che il rugby in città è una nicchia e, a loro volta, i club sono delle nicchie perfino più piccole”.

L’ultimo scudetto di Milano, grazie al Milan, nel 1996

Una soluzione, in questo dedalo di orticelli in cui nessuno vuole pestare i piedi all’altro, sarebbe un progetto calato dall’alto. È un’idea di chi scrive ma sono in tanti a pensarla così.

“Magari iniziando a livello giovanile”, ci dice Paolo Simi, delegato regionale della Fir, “perché se i Presidenti e la vecchia guardia non vogliono parlare di progetti comuni, forse i giocatori sono più interessati. Il prossimo anno mi piacerebbe mettere insieme una Under 18 milanese e farla giocare con i pari età parigini. Per vedere l’effetto che fa”.

Prima ancora di una franchigia seniores, una selezione giovanile milanese gestita a livello federale, costringerebbe i club a un passo indietro ma innalzerebbe di molto il livello complessivo e potrebbe – sul serio – essere prodromica di una franchigia per il domestic e, chissà, perfino per l’URC. Anche perché Milano ha bisogno di tappe intermedie, sotto la Madonnina non è solo la capacità di fare squadra a mancare, ma proprio le basi: “Gli All Blacks volevano tornare a San Siro, non è un mistero. La città attira tantissimo, c’è una richiesta di eventi pazzesca. Se portassimo qui l’alto livello avremmo certamente un buon ritorno. Il problema è che lo stadio, per via del prato, è off limits. Però se venisse lasciato dal calcio, con il sintetico il rugby potrebbe starci benissimo, sarebbero poi i concerti a tenere in piedi la struttura”. La città ha preso una piega cui lo sport – non solo il rugby – non è una priorità. Le Olimpiadi non lasceranno nulla: un’Arena per concerti, uno studentato in luogo del villaggio… Eppure lo sport, come il design e la moda, crea indotto. Purtroppo si può ragionare soltanto di selezioni giovanili perché non c’è un campo adeguato per i seniores: il Giuriati è piccolo, il Breda di San Donato non è stato concesso neanche per il Sei Nazioni femminile, l’Arena non ha le misure regolamentari del campo ma basterebbe spostare una pedana del salto per risolvere una delle questioni. “L’altra sono gli spalti”, spiega Simi, solo la parte della tribuna Appiani è a norma con le vie di fuga”. Volevano farci il pattinaggio alle Olimpiadi, nell’impianto intitolato a Gianni Brera, ma dietro l’illusione a cinque cerchi c’è una metropoli europea senza una piscina olimpionica, senza un palazzetto e i pochi impianti, “Forse si potrebbe utilizzare lo Scirea di Cernusco ma non siamo davvero a Milano. Peccato perché avere una squadra di Elite non serve solo ad avere più pubblico ma ad allargare la base, a rendere il rugby più appetibile”.

la foto del Duomo è di Marco Nürnberger (https://www.flickr.com/photos/mnuernberger/)

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