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“Vincere giocando male. Questo avrebbe dimostrato che siamo diventati una squadra solida, che sa gestire le situazioni difficili, trarre vantaggio da quel poco che si riesce a costruire. Invece non siamo stati capaci di farlo. Sono molto deluso, è una cosa che mi rende pazzo”. Gonzalo Quesada non è di quegli allenatori che si tiene le cose dentro, che, al massimo, parlano nel chiuso degli spogliatoi e delle sale riunioni. Se lo solleciti ti dice quello che prova e che pensa. Ti spiega esattamente cosa lo ha deluso di questo Samoa-Italia, quando la partita ha cambiato segno, cosa è stato sbagliato. Ti direbbe anche il chi, ma si ferma perché quello sì che sarebbe troppo. “Nella prima meta di Samoa un nostro giocatore, già individuato, è entrato in un raggruppamento facendo una cosa che non doveva fare e lasciando spazio al loro attacco”. “Già individuato”, ci fa intuire che la cosa non passerà sotto silenzio.

Garbisi calcia il pallone, accanto a lui Lorenzo Cannone (Foto Federugby)

E allora vediamola questa analisi dell’incontro, un’analisi per ora fatta di sensazioni più che di dati oggettivi perché non c’erano video, non c’erano numeri, niente wifi nello stadio. “Ho visto la partita dalla panchina, insieme ai giocatori, perché dalla tribuna non si vedeva niente. Speriamo che ci inviino il filmato dell’incontro e su quello faremo valutazioni più precise. Intanto vi dico cosa non ha funzionato. Divido l’analisi tra primo e secondo tempo – dice il ct azzurro – abbiamo subito la loro meta, ma abbiamo reagito e ripreso il controllo con due belle mete, manovrate. Era una strategia studiata, sapevamo dei calci profondi del loro mediano di mischia e che si scoprivano sulla diagonale opposta ed è lì che li abbiamo colpiti aprendo un solco nel punteggio fino a 18-7. Poi però non abbiamo sfruttato altre occasioni da meta, e sempre per errori nostri, palloni persi al contatto in avanti stupidi. In tutta la partita abbiamo perso 16-17 palloni così. Capisco il campo umido, il pallone viscido. Ma è inammissibile perdere il controllo a due metri dalla meta”. Anché perché segnare ancora avrebbe voluto dire mettere molti dubbi alle Samoa. “Il linguaggio del corpo parlava chiaro, non riuscivano a impostare il loro gioco, noi li avevamo messi sotto. Però loro giocano in casa e in casa diventano imbattibili, perché con il pubblico si crea una sintonia incredibile. A fine partita cantavano tutti insieme, era bellissimo”. Il gioco che avrebbe fatto Samoa Quesada e gli altri allenatori lo avevano intuito, quello che forse non ci aspettava  era la loro solidità in mischia chiusa, e anche la reattività sulle nostre touche. “In touche abbiamo avuto un problema sia nel primo che nel secondo tempo, e ci hanno sovrastato fiicamente nei punti di incontro e se perdì lì poi diventa difficile creare qualcosa. Erano impatti violenti, lo avrete visto anche voi”.

Gianmarco Lucchesi sul campo di Apia durante il Captain’s Run (Foto Federugby)

E già che in touche le cose andavano male non trova spiegazione la scelta del secondo tempo quando si era sul 25-25 con Samoa che rimontava. Primo calcio mentre siamo nei 22  e decidiamo di andare in touche. Nuovo fallo dei samoani e ancora touche, terzo fallo samoano e ancora touche e questa volta ce la rubano. “L’altro momento decisivo della partita, io avevo chiesto i pali per tornare in vantaggio e metterli sotto pressione. Hanno optato per le touche, forse si sentivano potenti per andare in meta. E’ il campo che decide, ma qui hanno sbagliato”, ancora Quesada. Eppure al Sei Nazioni era sembrato che finalmente si prendessero tutti i punti che si presentavano. C’è un problema di leadership? “E’ difficile avere problemi di leadership se sei sempre messo sotto negli impatti. Certo provi un drive e non fai meta, ne provi un altro idem, la terza volta magari piazzi. E’ stata un gestione sbagliata e abbiamo dato loro la possibilità di riprendere forza e vincere la partita. Ma quello che mi fa più male è essere stati così dominati nella zona del contatto e se la dominazione è chiara in un senso è difficile competere”.

Cosa è successo? La risposta di Michele Lamaro, capitano azzurro

Ange Capuozzo non era alle Samoa. “E’ arrivato a Auckland mercoledì a mezzogiorno dopo non so quanti aerei ha preso, doveva smaltire il jet lag, venire qui (due ore di attesa in aeroporto e 4 ore e mezzo di volo con arrivo la notte) era un inutile stress. Quando torniamo in Nuova Zelanda lo troviamo pronto a unirsi al gruppo. Che squadra andrà in campo a Tonga? Deve essere un bel mix fra freschezza atletica ed esperienza. Sarà una partita come questa, non facile, dobbiamo adattarci, sfruttare quello che avremo e non farne una questione di estetica, ma di sostanza. Vincere anche se brutti”.

Gallagher cerca di impostare un contrattacco andando in serpentina fra due avversari (Foto Federugby)

Gallagher come è andato? “Avevamo un triangolo allargato che parlava inglese, Matt ha comunicato bene con tutti era sempre nel posto dove doveva essere e ha un bel calcio di spostamento. E’ andato bene”. Un po’ meno Zarantonello entrato per Lucchesi a 12 dalla fine. Da un suo lancio l’incomprensione che ha portato le Samoa alla meta che ha chiuso ogni speranza azzurra, ma i problemi in touche si erano visti anche sui lanci di Lucchesi.

Nella foto di apertura Gonzalo Quesada durante il Captain’s Run prima della partita con Samoa (Foto Federugby)

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