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Noi ce la ricordiamo l’Australia alla Coppa del mondo in Francia, nessuna idea, nessuna intensità, ce lo ricordiamo Carter Gordon che quasi si scansa su un up and under e permette alle Fiji di segnare. Non è più così, l’Australia è tornata, ha battuto in due test il Galles ora arrivato a nove sconfitte consecutive (36-28 il secondo match). Ma la cosa più eclatante è come il nuovo capo allenatore degli Wallabies, il neozelandese Joe Schmidt, ci sia riuscito: con una rivoluzione.

Fraser McReight, terza linea, uno dei cinque superstiti della fiormazione della Coppa del mondo (Foto Instagram Wallabies)
Fraser McReight, terza linea, uno dei cinque superstiti della formazione della Coppa del mondo (Foto Instagram Wallabies)

Dei 23 giocatori andati in campo contro le Fiji a Saint Etienne il 17 settembre per perdere 15-22, contro il Galles nel secondo test ne erano restati solo cinque: Fraser McReight, Rob Valetini, James Slipper diventato capitano dei Wallabies, Nic White e Ben Donaldson. Un ricambio in parte forzato dall’addio all’attività internazionale, o addirittura al rugby, di alcuni, in parte dalla necessità immediata di scrollarsi di dosso un vecchio modo di intendere il rugby. Il messaggio di Schmidt, quello che ha guidato la rinascita dell’Irlanda e che nello scorso mondiale era nello staff degli All Blacks, era rivolto soprattutto a un australiano doc, Eddie Jones, scappato dalla panchina Aussie dopo il disastro francese (eliminazione nella fase a gironi, mai successo prima): gioca chi ci mette anima e voglia, non chi è famoso per glorie passate. E chi ha testa. Così un giocatore come Jordan Petaia, talentuoso ma instabile nelle prestazioni, è finito fuori. Così è tornato in auge Noha Lolesio (che ha firmato con federazione e Brumbies per un altro anno) apertura che Jones non amava. Così sono arrivati degli esordienti, il “nostro” Tom Lynagh fra gli altri.

A ben guardare Schmidt fa giocare l’Australia come fosse una squadra dell’emisfero nord, i lanci di gioco dopo un paio di punti di incontro sembrano quelli dell’Italia, passaggi dietro la schiena di un primo giocatore allargamento  veloce verso l’ala. Poi, certo, sfruttamento massimo dei ball carrier Valetini, Tupau e Alaalatoa. Più velocità di uscita del pallone dai punti di incontro per evitare battaglie troppo pesanti per un pack più leggero dei competitors.

E più libertà di prendere decisioni anche rischiose, come nel caso della prima meta australiana scaturita da un contrattacco dalla linea di meta di Kellaway e segnata poi da Dauguno (saranno due per lui alla fine). Non ci sono più Koroibete e Karevi a sfondare sui tre-quarti, ma Dauguno, come visto, e Paisami sanno battere l’ultimo difensore, magari non con la grazia di Tom Wright che nel primo test ha messo letteralmente in ginocchio un centro gallese con uno step.

La meta di Rio Dyer segnata dopo aver abbattuto due avversari (Foto Wru.Wales)

Il Galles perde per proprie colpe più che per meriti degli avversari. Una meta, qui quelle che tagliano le gambe, è la seconda di Dauguno con pallone regalato da Liam Williams, il giocatore forse più esperto in campo, che si inventa un assurdo salto per evitare che il pallone finisca in touche e di fatto lo regala all’ala australiana. Alla fine i gallesi segnano quattro mete come gli australiani, ma nonostante le trasformino tutte e quattro e l’Australia solo due, alla fine perdono perché la differenza la fanno i calci di punizione ovvero l’indisciplina. E qui che il Galles dà ai Wallabies la possibilità di centrare i pali quattro volte, mentre per la squadra di Gatland non c’è nemmeno un punto dalla piazzola. Il ct gallese però può essere soddisfatto della prestazione di alcuni giocatori, come Rio Dyer, autore di una meta in cui l’ala gallese ha abbattuto due diretti avversari, o Dewi Lake che ha segnato due volte. E poi la prima linea con Archie Griffin che ormai gioca da veterano e Gareth Thomas restato in campo 80 minuti. Nove ko di fila, ma il nuovo Galles comincia a prendere forma.

Nella foto di apertura Noha Lolesio si avvia in campo per provare i calci, c’è luce in fondo al tunnel australiano (Foto Instagram Wallabies)

 

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