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Sid Going, che se n’è andato a 80 anni, aveva la testa pelata, i baffoni, i basettoni, il colletto della maglia all’insù e l’aria di chi va per le spicce. Esistono delle belle foto e delle vecchie riprese appena velate dal tempo: illustrano il magistero del suo gioco al piede e la rapidità nell’estrarre la palla dalla mischia. L’accelerazione di chi ha le gambe corte poteva essere letale. Lo fu anche nel giorno del suo ultimo hurrà: meta ai Lions in un equilibrato 16-12 per i Blacks.

Gli anni a cavallo tra i Sessanta e Settanta scandirono la rivalità tra Sid e Gareth Edwards: in palio la corona di miglior mediano di mischia del mondo. Il faccia a faccia definitivo consegnò il titolo al gallese: era il 27 gennaio 1973, all’Arms Park i Lions travestiti da Barbarians sconfissero gli All Blacks e Gareth segnò la Meta. Sid non era un grande parlatore ma quel giorno quando gli chiesero un commento non spiccicò un verbo. Quella meta fu un diretto al mento.

Going era maori per parte di madre (Mary Paki) ed era nato, nella fattoria del padre Cyril, nell’estate del 1943 a Kawakawa, parte settentrionale dell’isola nord. Aveva studiato all’Università mormone e a 19 anni era stato spedito nell’Alberta, Canada, come missionario. L’appartenenza alla Chiesa di Gesù Cristo e dei Santi dell’Ultimo Giorno è stata un pilastro della sua esistenza: gli altri erano la famiglia e il rugby.

Tornato in Nuova Zelanda, cominciò a prendere sul serio il gioco e finì in campo con i fratelli Ken e Brian nel Northland prima di essere notato, prendere la strada di Auckland e esser convocato per i Maori All Blacks. Nel ’67 riuscì a portare via la maglia numero 9 a Chris Laidlaw e il suo esordio in nero, contro l’Australia, si risolse in un 29-9 per i neozelandesi. L’anno dopo, una doppietta ai francesi in tour gli assicurò definitivamente il posto. Dieci anni da internazionale gli fruttarono 86 presenze e 29 caps. Il rugby era molto diverso.

Sid fece parte di quel tour in Sudafrica che qualcuno ha definito “infame”: per giocare nel paese dell’apartheid lui e Bryan Williams ricevettero l’umiliante etichetta di “honorary whites”, bianchi onorari. Nel ’71 avrebbe dovuto incassare la sconfitta nel trionfale tour dei Lions di Carwyn James e, un anno e mezzo dopo, quel giorno fatale a Cardiff ma, sempre sostenuto dalla forza della fede, avrebbe tirato avanti sino al congedo, segnato da quella sua ultima meta.

la foto del titolo è di Peter Bush-New Zealand Hall of Fame 

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