vai al contenuto principale

Il piano di gioco per Gonzalo Quesada è tutto. Prevedere ogni possibile situazione e allenarla. C’è un aneddoto che spiega molto. Giovedì 7 marzo, campo principale del centro Coni Giulio Onesti, Roma. Mancano 48 ore a Italia-Scozia e siamo all’ultimo allenamento prima del match. Solo che questa volta si fa sul serio, un contrapposto senza esclusione di colpi, placcaggi veri, attacchi a suon di scontri fisici. Ad arbitrare come fosse la partita che si giocherà sabato c’è Andrea Piardi che due settimane prima ha diretto Irlanda-Galles. Quesada a un certo punto ferma tutto. “Bene ora alleniamo questa situazione: mancano tre minuti alla fine, siamo sopra di due punti, la Scozia tenta in ogni modo di ottenere un calcio di punizione per vincere. Fasi su fasi. Dobbiamo placcare, difendere e non fare fallo”. I cinque minuti che seguono sono di un’intensità mai vista, Piardi ha il compito di sanzionare tutto. E alla fine la squadra trova la strada per difendere quella situazione, anche con l’aiuto e le indicazioni di Piardi. Ora si è pronti se mai si presenterà questa necessità. E si è presentata, lo sappiamo tutti. 24 fasi consecutive d’attacco, dal 78′ all’84’ di Italia-Scozia, sul 31 a 29. E l’Italia ha resistito e portato a casa la partita.

Andrea Piardi, arbitro internazionale, all’allenamento degli azzurri al centro Coni Giulio Onesti (Foto Angelica Agosta/AllRugby)

“E’ vero cerco di prevedere gli scenari possibili e le contromosse, sia in attacco che in difesa, i lanci di gioco per esempio. Come e quando utilizzarli. Contro la Scozia ne abbiamo preparati due che poi non abbiamo utilizzato. Ma li abbiamo allenati, ci torneranno utili in Galles”, dice Quesada in conferenza stampa. Ha appena dato la formazione, ha raccontato che Ange Capuozzo ha giocato 69 minuti con un dito fratturato, senza tirarsi indietro, mai. Andatelo a spiegare a quelli che sfiorati da un avversario saltano come avessero messo il piede su una mina. Quesada ha scelto i 23 dopo lunghe riflessioni, guardando gli appunti, e va in campo chi ha capito e sa applicare il piano. Una curiosità: i neozelandesi non amano prevedere tutto prima, non amano il piano di gioco. Indicano a grandi linee, poi si vede sul campo. Come si sa la cosa in Nuova Zelanda funziona, magari però perché tutti, comunque, sanno esattamente cosa fare in ogni momento, lo sanno dal college, dalla scuola che hanno frequentato, sono skill e angoli di corsa che hanno nel loro Dna. Noi ancora queste capacità non le abbiamo, non tutti, per questo serviva uno spartito che fosse il più orecchiabile possibile, ma anche armonioso, certo.

Nell’immagine di apertura il ct Gonzalo Quesada spiega ai giocatori le azioni previste nel piano di gioco (Foto Angelica Agosta/AllRugby)

Torna su