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Qualche giorno fa se n’è andato a 103 anni (età abituale per quei vecchi fusti) Mike Sadler, l’uomo delle stelle. Gli basavano quelle per correre nel deserto e non smarrirsi, al volante della sua jeep, dopo una missione oltre le linee. Venticinque anni prima Lawrence, sulla sella di un cammello, usava gli stessi strumenti di navigazione.

Sadler aveva magnifici occhi cerulei. Non è noto se fossero anche felini e gli permettessero di bucare le tenebre. Era il navigatore, e così è stato ricordato nel solito esemplare obituarie del Guardian, il preferito da Blair Mayne, detto Paddy, seconda linea dei Lions del 1938, uno dei protagonisti della guerra da irregolari così amata da britannici.

E così questa è un’occasione per ricordare quegli uomini che quasi un secolo fa, passavano con disinvoltura dalle “campagne” rugbistiche, come si chiamavano i tour di una volta, a quelle militari.

“Avete un uomo da consigliarmi?”. “Sì, quello giusto”. “Dov’è?” “In galera: ha picchiato un ufficiale superiore”. Non è “La Sporca Dozzina”, non è “La Brigata del Diavolo”, è il colloquio tra David Stirling e Eoin McGonigal al tempo del concepimento del Sas, il reparto degli ardimentosi (“Chi osa vince”, è scritto sotto il pugnale alato da portare sul basco); per chi ne ha fatto parte, il Reggimento nient’altro. L’uomo consigliato da McGonigal è Blair Mayne. Altro colloquio che si svolge in cella, tra due giganti: Stirling è sui due metri, Mayne 1,90 abbondanti. “Verrete con me? “. “Proposta interessante, ma su una cosa non transigo: mi chiamo Blair, non Paddy”. Paddy è l’immancabile marchio che gli inglesi affiggono sugli irlandesi e Mayne è irlandese della contea di Down, Ulster, rampollo di una famiglia di avvocati, seconda linea dei Lions nel tour del ’38: gli Springboks di Danie Craven contro i britannici di Sam Walker, Ulster anche lui, il pilone che pronunciò una frase storica: “Da Newlands dobbiamo uscire vincitori e pazienza se usciremo in ambulanza”. Uscirono vincitori 21-16 per chiudere il tour sotto di 2-1. Non male contro quei sudafricani che di lì a poco molti di loro si sarebbero trovati al fianco, su un altro tipo di campo.

La squadra dei British & Irish Lions in tour nel 1938 in Sudafrica (archivio British & Irish Lions): Blair Mayne è il sesto da sinistra nella fila in alto.  

In quella squadra Blair era la seconda linea selvaggia, la reincarnazione di Tom Crean, dicevano i vecchi Bokke che ricordavano i Lions del ’96 e quella furia, irlandese anche lui, bello e statuario e amante delle donne quanto il misogino Blair se ne teneva discosto. Lui aveva altri interessi: attaccar briga con i boeri che chiamavano i britannici roinecks, corruzione verbale di red necks, colli rossi, in spregiato ricordo dei soldati di Vittoria regina e imperatrice che si gamberizzavano facilmente sotto il sole dell’Africa australe durante la spietata guerra del ’99. Blair era irascibile, capace di distruggere la sua stanza d’albergo – “perché a quelli del Natal hanno dato le più belle?” – e aveva trovato un degno compare, William Travers, tallonatore gallese. Si erano conosciuti l’anno prima quando Blair aveva strappato il primo cap a Cardiff. Lo studente in legge e il minatore diventeranno il terrore dei bar di Johannesburg, di Pietermaritzburg, di Capetown.

Dalla cornice del tempo esce anche un Blair delizioso, educato con i compagni, dall’eloquio raffinato e gentile. Ma capace di liberarsi rapidamente dai lacci per trasformarsi in toro scatenato, un Jekyll-Hyde che possiede la pozione magica e maledetta nei cromosomi e che va a pescarne razioni supplementari nel fondo della bottiglia. Dategli un prato e si trasformerà. Quando gli daranno qualcosa di più vasto, la metamorfosi sarà finale. Maggio ’38, partenza per il Sudafrica sullo Stirling Castle, lungo viaggio in nave, 24 partite (Blair nel gioca 19), tre test, due perduti secchi e quello finale vinto, la rotta in senso inverso, l’arrivo in patria due giorni prima che Neville Chamberlain torni da Monaco di Baviera sventolando un foglio e un’assurda speranza: “Ho portato la pace”. Non era vero niente. Blair vuole laurearsi e ci riesce, vuole anche continuare a giocare e lo fa con il Malone. Venti di guerra: lui li annusa e comincia a pensare che la guerra sia la touche in cui saltare per strappar palla agli Unni. Si arruola in un reggimento antiaereo e finisce dentro un lungo interludio che i francesi chiameranno drole de guerre. Dalla primavera del ’40 le cose cambieranno.

Le esistenze degli uomini sono incroci, qualcuno dice gomitoli. Poco prima che Blair (a sinistra nella foto) inizi a annoiarsi e a pensare di far domanda per passare nei Commandos, un lungo scozzese sta tornando in patria dopo aver scalato una serie di cime delle Montagne Rocciose: la dichiarazione di guerra troverà David Stirling a Las Vegas, impegnato a racimolare soldi per il viaggio di ritorno. Un altro irrequieto: nel ’41 è al Cairo con un’idea che gli frulla per la testa, dare alla luce un reparto scelto che si infiltri nelle retrovie nemiche per attaccare aeroporti e linee di comunicazione e di rifornimento. I commandos tradizionali non hanno combinato granché, sino a questo punto. Al MEHQ, il quartiere generale britannico per il Medio Oriente, non ha sostenitori: tutti maledetti scribacchini, tutti fottuti burocrati che pensano a prender l’aperitivo con vista sulle Piramidi e della guerra non hanno capito niente, rimugina Stirling. L’unico che gli dà credito è il generale Richie: “Vi permetto di arruolare sei ufficiali e sessanta uomini. Vi allenerete in Palestina. Al nome avete pensato?”. “Special Air Service”. Significa poco, per non dire niente; forse, in caso di messaggi intercettati e decrittati, a confondere italiani e tedeschi. Più tardi, quando David sarà raggiunto dal fratello Bill, qualche bello spirito britannico dirà che era stata fondata la Stirling&Stirling.

La storia si riannoda, riporta al primo faccia a faccia tra Stirling e Mayne, che non è un esordiente nel campo delle incursioni: menzionato nei dispacci per un’azione contro i francesi di Vichy. Da quel momento è nel suo elemento: attacchi notturni, rapide ritirate su quelle jeep e su quelle Chevrolet irte di mitragliatrici Browning. I primi raid sono un disastro (al Cairo pensano di sbandarli ma il partito degli scribacchini viene sconfitto) sin quando a Tamit, in quell’incerto deserto che divide Egitto e Libia, Blair si scatena: 24 aerei distrutti in una notte di caccia fruttuosa. Ed è proprio Mike Sadler che al Sas è arrivato dalla Rhodesia, a cavarli d’impiccio. Si accoda a un convoglio tedesco, la fa franca. All’alba l’oasi di Kufra li attende.

Il Natale del ’42 lo passano a Misurata: il maresciallo Bernard Law Montgomery, che sta per essere nominato visconte di El Alamein, grato per le continue punzecchiature assestate a italiani e tedeschi, invia a ogni uomo del reparto una bottiglia di whisky e 500 sigarette. Il regalo è molto gradito e rapidamente consumato.

La campagna di Tunisia, ancora al fianco di Mike, lo sbarco in Sicilia, Augusta (dove conquista il secondo Dso), la risalita della penisola, il terribile scontro con i paracadutisti della Hermann Goering a Termoli, il reparto che va a pezzi, il periodo di preparazione, in Scozia, mentre l’apertura del secondo fronte e lo sbarco in Normandia si avvicinano. È un brutto periodo per Blair perché con David Stirling prigioniero nel castello di Colditz (un nido d’aquila ma ugualmente qualcuno riesce a fuggire), toccano a lui il comando del primo squadrone e l’ancoraggio dietro a una scrivania. Avvizzisce, sino a quando, ancora una volta, qualcuno conviene sia più produttivo allentargli i lacci. Nell’agosto del ’44 si paracaduta in Francia, può tornare con i suoi uomini impegnati alle calcagna dei tedeschi che si stanno ritirando verso i confini (terzo Dso) e nell’aprile del ’45, vicino a Oldenburg, nel corso di furiosi combattimenti, è decorato per la quarta volta. Normale che al tenente colonnello Blair Mayne non abbiano dato la Victoria Cross, constatano quelli che la guerra l’hanno vista da Whitehall: troppo indisciplinato, incapace di qualsiasi formalità.

La vittoria, la smobilitazione, l’incapacità di vivere un’esistenza normale, la bottiglia sempre più fedele compagna, gli eccessi verbali. Il 15 dicembre 1955 si schianta con la sua spider a Newtownards: aveva compiuto da poco 40 anni. Al quartier generale del Reggimento hanno eretto un monumento in suo onore: tra quelli che hanno osato. Mike lo ha raggiunto quasi sessant’anni dopo: da navigatore era diventato un uomo dell’MI6. Sapeva esplorare le notti e i misteri sottili dello spionaggio.

 

In memoria di Blair Mayne, 11/1/1915-14/12/1955. 6 caps con la maglia dell’Irlanda, tutti da titolare, esordio il 3 aprile del 1937 a Belfast contro il Galles. Ultimo, sempre contro i gallesi, a marzo di due anni dopo. Una meta, contro l’Inghilterra, nel 1938 a Lansdowne Road. British & Irish Lion numero 307, nel 1938 disputò tre test contro il Sudafrica. Da studente, nel 1936, era stato campione universitario irlandese di pugilato nella categoria dei pesi massimi e finalista ai campionati britannici.

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