Andy Farrell guiderà iBritish & Irish Lions nel tour australiano del 2025, ereditando il bastone di feldmaresciallo da Warren Gatland. Sarà quindi uno dei più grandi giocatori nella storia della Rugby League a guidare la “campagna” nella terra dove il XIII è più importante e popolare del XV, in crisi nera, come testimoniato dall’ultima Coppa del Mondo, chiusa con l’eliminazione alla fase a gironi e con la fine della breve avventura di Eddie Jones. I secondi matrimoni non sempre finiscono bene.
Una volta Andy, dal testone simile a un busto romano del tempo dei Severi, non avrebbe avuto chances: chi sceglieva quel rugby – e dalle sue parti quello c’era… – era considerato come un eretico da chi reggeva, con un certo sussiego e in forza di una summa di antichi privilegi, il timone della Union. Chi giocava per denaro non solo non poteva chiedere di cambiar codice, ma non era ammesso, neppure da spettatore, a una partita dei “magnifici” dilettanti.
E ora l’uomo che ha garantito al Wigan tutti i trofei possibili, che ha raccolto ogni tipo di riconoscimento personale e che, diciamolo, ha lasciato poche tracce quando si è infilato addosso la maglia con la Rosa, ha ricevuto quello che lui stesso ha definito un “tremendous” onore, salire al vertice alla piramide tecnica per la spedizione dei Bristish and Irish Lions in Australia, la sua terza avventura oltre oceano dopo quelle del 2013 e del 2017 quando, sotto il comando di Gatland, allineò un successo con gli Wallabies e un pareggio con la Nuova Zelanda.
Farrell ha deciso di “sospendersi” da ct dell’Irlanda alla fine di quest’anno per concentrarsi sul compito che lo attende. In programma, non c’è dubbio, ci sarà anche una telefonata o più facilmente un incontro faccia a faccia con Owen che, nettamente al di sotto dei cinquant’anni, lo ha reso nonno. Nel riprodursi i Farrell fanno tutto molto di fretta.
“Allora, Owen, hai deciso se tornare al rugby internazionale?”. Tra padre e figlio di solito scorre il fiume della sincerità.