Dopo aver staccata una a una, e a casa loro, le pezze di colore degli Arlecchini londinesi, servi di un solo padrone, il Tolosa, Antoine Dupont ha parlato, cosa che non capita spesso al Faccia di Pietra generato in un paese dei Bassi Pirenei.
Ha confermato che, avendo smarrito la strada che doveva portare i Galli-Galletti alla Coppa del Mondo, il desiderio di vittoria gli ha indicato una nuova direzione maestra, il torneo olimpico del Seven che lo porterà a sacrificare il 6 Nazioni. “So che sarà dura perché quel formato non lo frequento da quando avevo 18 anni. Ho qualche timore ma sono pronto a dare il meglio”.
Parigi val bene una mossa quando l’Olimpiade del Centenario si sta avvicinando e la Francia soprattutto nei due sport che più olimpici non si può – atletica e nuoto – ha chances piccole come la più minuta delle fiches giocate nei suoi casinò. Non resta che confidare nella palla ovale in formato ridotto, nelle arti marziali, nella vela, nella scherma, in qualcuna delle nuove discipline accettate dal Cio (c’è anche la breakdance…) per dar ossigeno alla raccolta di medaglie, di solito cospicua per il paese che ospita.
L’etichetta Olimpiade del Centenario è quella che gli amanti perduti dei Giochi hanno appiccicato a questa edizione che rinvia, in un viaggio nel tempo possibile soltanto grazie a un affetto mutato, al 1924.
Citius Altius Fortius: lo slogan del Barone rifondatore ebbe il suo esordio proprio allora, per un’Olimpiade tra le più ricordate, magari per motivi diversi, con Berlino 1936, con Londra 1948, con Roma 1960, con Città del Messico 1968. Cent’anni dopo, come il pianista di Casablanca, Parigi torna a mettere le mani su quella tastiera inventando una cerimonia d’apertura sulla Senna (chissà se qualcuno, per la colonna sonora, ha pensato a Handel e a Musica sull’Acqua…), rispolverando la marcia, avvenuta poco dopo quel 14 luglio, delle donne su Versailles e tracciando una maratona che sarà sfida tra Eliud Kipchoge e Kelvin Kiptum, campioni di generazioni diverse, proponendo il surf in quella Francia lontana che è la Polinesia territorio d’oltremare e d’oltreoceano (le minacce all’ambiente sono state messe in fuga), riproponendo i volti di Paavo Nurmi, Harold Abrahams, Eric Liddell, Johnny Weissmuller, rimescolando la memoria di quella gran zuffa tra giocatori e pubblico in ci si trasformò la finale Francia-Usa del rugby a pieno regime, un momento così inglorioso da suggerire a de Coubertin, arbitro e seguace di quel gioco che aveva conosciuto nei suoi pellegrinaggi inglesi, che era meglio chiudere le porte. .
La città della strage, della Notre Dame in fiamme (dove non riuscì Hitler, ebbe la meglio il caso), delle manifestazioni che dal Maggio possono essere ancora oceaniche, sta avvicinandosi ai suoi Giochi e Dupont ne vuole essere uno dei volti. Possibilmente, meno impenetrabile del solito.
Nella foto di David Ramos -World Rugby/world Rugby via Getty Images, Antoine Dupant ai Mondiali contro la Nuova Zelanda