Dopo tanti anni passati ad azzuffarsi su tutti i campi più famosi, Alun Wyn Jones avrebbe meritato, fra non molte ore, di guidare dei veri Barbarians, e non questo concentrato di australiani e di figiani resisi disponibili per la sua partita d’addio (match poi finito 49-26 per i gallesi, ndr). Sarebbe stato bello che, contro il suo Galles, Jones fosse stato circondato da quelli con cui più di frequente si era scontrato: inglesi, scozzesi, irlandesi, francesi, magari anche qualche azzurro.
Non è più possibile. C’è il riposo post Coppa del Mondo, esistono problemi assicurativi. E così il rugby è entrato in una “normalità” che non era sua, cancellando l’entusiasmo, la gioia, il desiderio di esser presenta all’ultimo hurrah di un vecio che lascia un segno.
Il tramonto della selezione – Lions travestiti da Barbarians – che proprio all’inizio di quest’anno aveva celebrato il mezzo secolo della vittoria sugli All Blacks e della Meta delle Mete di Gareth Edwards, sta mostrando l’ultimo spicchio di sole. Dopo, la notte per chi porta sulla maglia un intreccio di lettere degne dei ricami metallurgici dei cancelli del vecchio Arms Park.
Una stretta di mano lunga, a palmi, 20.000 chilometri, va allungata a Steve Hansen: il vecchio manager (vincente) degli All Blacks ha detto che il Tmo d’oggi è molto diverso da qual che era stato inventato e messo in opera poco più di vent’anni fa: meta o non meta, ed era tutto.
Soccorre la memoria: una meta di Dan Luger, in un test novembrino del ’99: l’arbitro vide sul grande schermo quello che videro gli 82.000 di Twickenham e giudicò buona la meta.
Oggi, in quell’officina di Efesto che è la sala del Tmo – per non parlare degli inquisitori, anonimi e lontani dallo stadio, che governano l’istituzione del bunker – ogni soluzione e ogni verdetto sono possibili, ogni risultato può essere precostituito.
Ne consegue che gli adepti dei social, depositari di sindromi pericolose, possono maledire l’arbitro, minacciarlo di morte. È molto triste per una dimensione che per molti anni ha visto nell’arbitro un “arredo” necessario, mai decisivo.
Uno dei pochi di cui è stato conservato il nome era lo scozzese Carmichael che, correva l’anno 1905, decretò che la meta di Bobby Deans non era buona, appena prima di correre alla stazione di Cardiff per prendere il treno che gli avrebbe permesso di agganciarsi alla coincidenza per la Scozia.