Una domanda e le tante risposte: «Chi è stato il miglior Ct dell’Italia?», un gioco con i lettori di Allrugby.it che ha provato a mettere a confronto i risultati ottenuti dai tecnici che nell’era del Sei Nazioni si sono alternati alla guida degli azzurri. Un quarto di secolo, oltre non si poteva andare perché prima non esisteva il ranking, gli avversari erano molto diversi, l’Italia non poteva ancora incontrare con continuità i padroni del vapore, così come le è successo da quando è stata ammessa alla corte del Torneo. Eppure.
Eppure in tanti non hanno avuto dubbi, alla domanda hanno risposto con convinzione Georges Coste, anche se l’era di Coste sulla panchina azzurra non rientrava in quella presa in esame. E così ci siamo incuriositi e siamo tornati indietro nel tempo, alla scoperta del perché trent’anni e un’era geologica dopo il rugby italiano è ancora così legato al piccolo-grande uomo di Perpignan, il protagonista di una rivoluzione, delle prese di posizione scomode, della grande disponibilità al dialogo, colui che ha anticipato i tempi e ha fatto uscire il rugby italiano dalla sua nicchia, schiudendogli le porte del mondo.
Georges Coste compirà 80 anni il prossimo 7 dicembre. Nella foto del titolo (Daniele Resini-Fotosportit) quando allenava l’Italia tra il 1993 e il 1999.
Qui accanto, in un’immagine più recente
Tutto iniziò quando il presidente federale Maurizio Mondelli diede l’incarico all’allora manager della Nazionale, Giancarlo Dondi, di trovare un sostituto a Bertrand «Mitou» Fourcade. La Francia era più che mai un riferimento tecnico e così si chiese consiglio a Pierre Villepreux, che in Italia era passato e aveva lasciato il segno: «L’allenatore del Perpignan è un mio compagno di studi e un mio amico. Ma soprattutto è l’uomo giusto per il rugby italiano. Garantisco a occhi chiusi». Detto, fatto. Appuntamento al buio, Giancarlo Dondi e Georges Coste si incontrarono a Montpellier dove l’Italia era impegnata nei Giochi del Mediterraneo, parlarono appoggiati alla balaustra del campo, si annusarono come fanno due cani quando si incontrano al parco. Affare concluso su due piedi, quell’uomo dai modi spicci, completamente avulso da protocolli e forme, in calzoncini e ciabatte, in poche parole aveva elencato vizi e virtù del rugby italiano di allora. Iniziò così la più esaltante avventura mai vissuta dal nostro rugby.
Georges Coste aveva carta bianca, per lui i labirinti del campanilismo, le strategie e le piccole invidie su cui era stata edificata la storia del rugby di casa nostra, erano nulla di fronte al lavoro che lo attendeva. Girava in lungo e in largo per diffondere il verbo; a Tirrenia vide all’opera con i giovani Massimo Mascioletti e non ebbe dubbi a sceglierlo come suo assistente. La coppia perfetta, pronti, si parte. C’era da costruire una squadra, da rivoluzionare una mentalità, da imporre nuovi metodi di allenamento, da introdurre lo studio di ogni singolo movimento di gioco al video quando si viaggiava ancora con la valigia piena di cassette Vhs, da passare nottate a gonfiarsi gli occhi di immagini sfocate, da disegnare difese innovative, da difendere i propri giocatori, da alzare barricate contro le immancabili chiacchiere di Palazzo. E c’era una generazione di fenomeni che non ce la faceva più a vivere nell’ombra. Metti insieme due forze d’urto pronte a esplodere e la detonazione è di quelle che lascia il segno.
I nostri lettori ricordano Georges Coste perché con lui l’Italia ha vissuto gioie mai conosciute: vittorie su Francia A1, Irlanda (3 volte), Scozia (2 volte), Argentina (2 volte e un pareggio) e, soprattutto, Grenoble anno 1997, sulla Francia come mai era successo prima, la Francia reduce dal Grand Slam, la Francia sconfitta da un piccolo genio catalano e dalla sua banda di sognatori. Quel giorno lì il Sei Nazioni divenne realtà.
Confronti impossibili con la nuova era, perché Georges Coste ha vinto 23 volte alla guida dell’Italia (su 50 incontri), ma allora non esisteva il ranking disegnato dal computer e si giocavano ancora il Torneo Fira, la Coppa Europa, la Coppa Latina, le qualificazioni alla Coppa del Mondo e gli avversari si chiamavano anche Russia (2 successi), Romania (3 successi, 1 sconfitta), Olanda (2), Repubblica Ceca, Spagna, Portogallo, Danimarca, Georgia, Croazia. Altri tempi, stesse difficoltà.
Azzurri anni Novanta con Georges Coste (al centro seduto) e Pierre Villepreux (alla sua destra).
In piedi, da sinistra: Federico Williams, Franchino Properzi, Andrea Sgorlon, Alessandro Moscardi, Orazio Arancio, Stefano Bordon, Carlo Checchinato, Paolo Vaccari. Seduti, sempre da sinistra: Nanni Raineri, Villepreux, Coste, Diego Dominguez e Massimo Giovanelli
Il primo botto, nel 1994, nel tour in Australia, quando per due volte l’Italia mise addosso il terrore all’Invincibile Armata campione del mondo. Bob Dwyer, il guru del rugby Wallaby, durante un terzo tempo confessò a Coste di aver ricevuto dagli inglesi la richiesta di poter disporre dei video di quelle partite, perché non riuscivano a capire come fosse stata organizzata la difesa azzurra.
Nel 1998, con l’obiettivo Sei Nazioni raggiunto e il professionismo che iniziava a bruciare le tappe, 12 dei 15 azzurri si erano guadagnati un contratto all’estero. Nel 1999, poco prima dei Mondiali, durante un disastroso tour in Sudafrica, Georges Coste fu esonerato dal suo compito.
«Chi è stato il miglior Ct dell’Italia?». Risposta personale e di parte: un genio della tattica, uno stratega, un passionale, un uomo di campo, un selezionatore, un grande allenatore, un nemico dei compromessi, un testone, ma soprattutto un amico di tutti noi che seguivamo il rugby con amore. Georges Coste, senza dubbio.
Il bilancio di Georges Coste alla guida dell’Italia (31 agosto 1993 – 7 luglio 1999)
50 incontri disputati – 23 vittorie – 26 sconfitte – 1 pareggio
Le 31 partite contro le formazioni di Tier 1 (è compresa anche quella con Samoa, ai Mondiali del 1995 in Sudafrica): 7 vittorie, un pareggio, 23 sconfitte