Sergio Parisse non c’è, i Mondiali se li gode dal divano o affogato in qualche tribuna, ma solo il dio ovale sa quanto sarebbe servito all’Italia. Per un match o per tutti, da capitano e da consigliori, in terza linea ad arginare il bradisismo mentale che ha colto la squadra contro gli All Blacks, in panchina a distribuire consigli, a illuminare con il faro della sua esperienza. Fra un match e l’altro a curare animi e riattivare neuroni. Sicuramente con i Tutti Neri avremmo perso comunque, magari senza sbattere così malamente sui bassi fondali delle nostre lacune non solo tecniche. E chissà se ritrovandoselo di fronte anche i Blues, i suoi compagni e avversari da decenni, che l’hanno visto conquistare boccali francesi e coppe europee, non avrebbero deglutito un filo più a fatica. Parisse non è il Rimedio, il Farmaco capace di trasformare l’Italia in quello che non è. Però possiede l’aura, il carisma del leader, la qualità riconosciuta anche dagli avversari di saper guidare un gruppo nella tormenta e nei dintorni di un naufragio. Proprio quello che manca all’Italia del dopo Parisse.
Foto Steve Haag/Fotosportit