Fra gli effetti collaterali del bradisismo francese della nostra nazionale potrebbe essercene uno insidioso e pernicioso, ma forse inevitabile, che già serpeggia nei commenti: la disperazione. Presa in senso tecnico: la mancanza di speranza. In Dante, l’inferno è la disperazione, e la disperazione è l’inferno, e le 22 mete rimediate dall’Italia, i 156 punti incassati fra il girone degli All Blacks e quello dei Coqs proprio lì ci hanno sprofondato. In un Cocito per fortuna solo simbolico, dove i diavoli tormentano solo i nostri pensieri.
Se per anni abbiamo accettato batoste anche pesantissime, e seriali, ripetute, commentandole in fondo con generosità, è stato perché pensavamo, speravamo che facessero parte di un percorso, che fossero le tappe di un (lento) miglioramento. Che in fondo al tunnel ci fosse, come predicava Conor O’Shea, una luce. Che prima o poi saremmo usciti a rivedere il cielo e la terra. Quell’illusione, temo che sia definitivamente scomparsa. Ormai ci è chiaro che dopo venticinque anni di Sei Nazioni non ci attende nessun Purgatorio, lasciamo stare un Paradiso. La nazionale che ci ha fatto entrare nel Torneo complessivamente era migliore di tutte quelle che le sono seguite, l’Irlanda derelitta che battemmo due volte negli anni ’90 si è trasformata in una macchina perfetta.
Loro sono diventati un algoritmo, noi siamo rimasti un’ipotesi. Non siamo riusciti a trasformare in speranza il limbo di qualche vittoria strappata qua e là, e oggi non c’è nessun progetto serio che ci consenta di immaginare un sentiero capace di condurci fuori dalla stagnazione, come la chiamano i francesi, del nostro rugby. Che peraltro è la stessa che, fatte le debite proporzioni, attanaglia il rugby mondiale, intento a ideare allargamenti improbabili mentre sguazza nella pozza antica delle proprie, inscalfibili, gerarchie. Per questo oggi i nostri commenti sono più pesanti, più cupi, più definitivi. Le illusioni sono definitivamente perdute, e Gonzalo Quesada ci appare come l’ennesimo Virgilio: illustre, certo, ma potrà mai di guidarci oltre la palude dei nostri limiti?
Nella foto la delusione per Troncon, Ongaro e Mauro Bergamasco dopo la sconfitta con la Scozia nella Coppa del mondo del 2007