Era tutto scritto nei numeri. Quelli che avevano portato gli Springboks in finale. Il Sudafrica ha vinto con merito, ma di fatto senza giocare. O meglio lasciando che a giocare fossero gli avversari. E capitalizzando tutti i loro errori. Finale decisa dalla disciplina, che pure fa parte del gioco: Nuova Zelanda in 14 per quasi 65 minuti, Springboks nell’angolo dei cattivi (prima Kolisi poi Kolbe) per un totale di 20’. L’uscita al terzo minuto per infortunio di Mbonambi poteva tramutarsi in una catastrofe per i campioni del mondo uscenti. Invece la squadra di Erasmus e Nienaber ha saputo assorbire anche quel forfait.
Gli All Blacks, nonostante l’inferiorità, hanno avuto più possesso (60%), portato il doppio dei palloni degli avversari oltre la linea del vantaggio (66 contro 35), hanno battuto 36 difensori contro i 13 dei sudafricani che sono stati costretti ad effettuare 209 placcaggi, mentre ai neozelandesi ne sono toccati 93. Last but not least, I Tutti Neri hanno concesso solo 5 calci di punizione (nessuno nella ripresa!!) contro i 10 degli Springboks (6 nel secondo tempo) e hanno pareggiato il conto in mischia, una fase che aveva condannato l’Inghilterra in semifinale.
Come si spiega dunque la vittoria del Sudafrica?
I fattori decisivi: la precisione di Pollard dalla piazzola, 4/4, e il suo eccellente gioco al piede, con il quale ha obbligato la Nuova Zelanda a spendere gran parte delle energie nella propria metà campo. Degli ultimi, fondamentali 10 minuti i neozelandesi sono stati costretti a giocarne oltre il 75% a ridosso dei propri ventidue metri.
Alla fine Pollard si è rivelato decisivo nelle tre partite più importanti del Mondiale, mettendo a segno in ciascuna di esse i calci di punizione che hanno determinato la conquista della Webb Ellis Cup da parte della formazione verde e oro.
Dei 209 placcaggi cui gli All Blacks li hanno costretti negli 80 minuti, gli Springboks ne hanno mancati 36, con un percentuale di errore del 19%, un dato abbastanza sorprendente per una squadra a lungo con un uomo in più.
Il punto è che come tanti altri dati, anche i placcaggi non si contano, si pesano: i sudafricani hanno completato tutti quelli importanti: Peter Steph di Toit con 28 (3 mancati) è stato monumentale, Deon Fourie, entrato al posto di Mbonambi al terzo minuto, ne ha effettuati 21 (un solo errore) e Franco Mostert 16 senza mancarne alcuno.
Gli Springboks hanno perso quattro touche su dieci, ma ne hanno rubate, o sporcate, un paio, entrambe decisive.
Erasmus e Nienaber hanno compiuto un gioco di prestigio: hanno inventato il rugby di situazione. Non importa se lo giochi alla mano, al piede, al largo, in difesa o in attacco. Il fattore decisivo è saper far pendere la bilancia dalla tua parte nelle occasioni decisive: i quattro piazzati senza errori di Pollard, il placcaggio su Ioane di Arendse, con Kolbe bravo in copertura a recuperare il pallone, 15 turnover conquistati (uno da Kwagga Smith nel finale) contro i 10 dei neozelandesi.
Springboks solidissimi nel fisico e nella testa, mai si sono fatti prendere dal panico, nè contro la Francia, nè contro l’Inghilterra, nè in finale, tre partite vinte di un punto, con poco avrebbero tutte e tre finire in un altro modo. Ma se tre indizi non fanno una prova, una cosa è certa, battere il Sudafrica è un’impresa tostissima per chiunque ci provi. E alla fine, vincono sempre loro.
In fin dei conti, pur a lungo in inferiorità numerica, la Nuova Zelanda è arrivata a mezzo metro dalla grande rimonta (nessuna squadra ha mai vinto la finale, dopo essere andata in svantaggio al riposo): a differenza della impeccabile precisione di Pollard, Jordie Barrett ha mancato il penalty del sorpasso di una quarantina di centimetri. La distanza e la posizione erano più o meno le stesse di uno dei quattro piazzati del numero 10 sudafricano.
Gli All Blacks hanno segnato l’unica meta della partita, se ne sono vista annullare un’altra per un pallone precedentemente caduto in rimessa laterale. Ma non hanno saputo varcare quell’ultimo ponte che li separava dalla vittoria. A bridge too far.
Nella foto Rieko Ioane cerca un varco nella difesa sudafricana, Pollard (a destra) e du Toit cercano di bloccarne l’azione (foto di Michael Steele – World Rugby/World Rugby via Getty Images)