Novantasei a diciassette, la partita che doveva consacrare la svolta definitiva dell’Italia, magari non con la vittoria, ma con una prestazione coraggiosa e volitiva, si è trasformata in una disfatta epocale. Il risultato è il peggiore della nazionale azzurra nel nuovo secolo e i 96 punti rappresentano il terzo peggior passivo della storia, dopo il 101-3, pure contro gli All Blacks a Huddersfield nel 1999, e il 101-0 contro il Sudafrica nello stesso anno. Sette mete nel primo tempo, sette nella ripresa, il totale di 14 eguaglia quello del 1999. La partita praticamente non c’è stata.
Potevamo aspettarcelo? Non in questa misura. Poteva andare peggio? Sì, avrebbe potuto piovere… Invece il temporale è stato metaforico, un diluvio di mete. All Blacks a segno dopo sette minuti con un’acrobazia di Jordan innescato da un cross di Jordie Barrett. È stato il preludio a un repertorio di gesti tecnici nei confronti dei quali gli Azzurri non hanno trovato contromisure.
“C’eravamo preparati bene, ma l’intensità che loro hanno messo nella partita è stata superiore ad ogni nostra aspettativa – l’analisi di Luca Morisi – Almeno così mi pare di poter dire a caldo, perché al momento è molto difficile fare un’analisi costruttiva”. La seconda meta della Nuova Zelanda è arrivata poco dopo il quarto d’ora, con la spinta della mischia da touche. Da quel momento in poi il crollo dell’Italia è stato verticale. Al 22’ i neozelandesi avevano già messo a segno la quarta meta, quella del bonus. Al 25’ il risultato era 35-3. Azzurri incapaci di difendere di fronte alle folate neozelandesi, alcune mete sono sembrate eccessivamente facili.
“Non so se sono state facili, so che abbiamo eseguito molto bene quello che avevamo preparato in allenamento”, il giudizio del capitano degli All Blacks, Ardie Savea. “Abbiamo perso via fiducia anche nei gesti più semplici e senza basi solide tutto è diventato più difficile”, ha spiegato Michele Lamaro, visibilmente provato. Colpiti ripetutamente nel giro di pochi minuti, come il pugile messo al tappeto più volte nelle prime riprese, gli azzurri non hanno più trovato né la concertazione, né gli stimoli per reagire alla grandinata di mete
All Blacks irresistibili sotto il profilo tecnico, fisico e della determinazione. “Abbiamo giocato molto bene, sono contento della prestazione – ha detto Ian Foster dopo la partita – un risultato così non me l’aspettavo”. Le lodi all’Italia dei giorni precedenti la partita non erano pretattica, ma un campanello d’allarme: ci avrebbero preso molto sul serio. Kieran Crowley aveva anticipato che saremmo stati attaccati frontalmente, che avrebbero provato a bullizzarci. Sul campo, la sua previsione non ha trovato risposte efficaci: tra le due squadre le differenze sono state enormi, in termini di velocità, di potenza fisica, di capacità di accelerazione. “Si hanno fatto quello che sapevamo avrebbero provato a fare, intimidirci, aggredirci, il rugby ha questa componente insostituibile, noi avremmo voluto fare lo stesso, ma non ci siamo riusciti – l’analisi del ct azzurro – forse questa partita è arrivata troppo presto per questa squadra”.
La meta di Capuozzo, braccato alla bandierina da quattro neozelandesi è stato un raro pezzo di bravura in una serata grigia, anzi a forti tinte nere. Quella di Ioane ha evitato, con l’ultimo attacco, che gli All Blacks superassero i cento punti. Gli avanti non hanno retto il confronto né nelle fasi statiche (5 touche perse e 4 mischie) né sui punti di incontro. Il riposizionamento, davanti alle folate avversarie, è stato inefficace, la difesa ha mancato 31 placcaggi su 123 (25%), 12 i turnover concessi sotto la pressione dei Tuttineri, 14 le punizioni fischiate contro gli Azzurri (7 contro gli All Blacks). I numeri fotografano una realtà incontestabile: la Nuova Zelanda è stata due o tre categorie superiore all’Italia.
Nelle foto di Michael Steele (World Rugby/World Rugby via Getty Images) una incursione di Mark Telea, irresistibile contro gli Azzurri, Monty Ioane cerca di sfuggire a Rieko Ioane, e una meta di Aaron Smith nonostante il tentativo di placcaggio di Paolo Garbisi