Dopo l’infortunio subito contro il Galles, Giada Franco lavora per tornare più forte di prima. E guarda con curiosità ai prossimi appuntamenti internazionali
Di Gianluca Barca
Giada si è fatta male contro il Galles, lo scorso mese di aprile, la sua trentaduesima partita con la maglia dell’Italia.
E adesso sta trascorrendo la sua estate in palestra a Brescia, dove si sottopone a un duro lavoro di riabilitazione.
“Mi sono giocata le vacanze – dice -, ma per quelle, pazienza. Quello che mi dispiace di più è che non posso andare nemmeno qualche giorno a casa, a Salerno, dalla mia famiglia. Se voglio tornare a giocare, non posso perdere nemmeno un giorno di lavoro”.
Cristiano Durante, l’esperto numero uno nei recuperi da infortunio, ha stabilito per lei un calendario che non ammette distrazioni: l’obiettivo è riportarla in campo per il prossimo Sei Nazioni. Giada lo asseconda, fa un cenno di assenso con il capo, ma poi le si incrina la voce: “Speriamo – sussurra -, perché dopo ogni incidente il rientro si fa più duro. Avevo già perso il Sei Nazioni del 2022 per un’operazione all’altro ginocchio. Spero di tornare quella di prima”.
Giada è Giada Franco terza linea del Colorno e della Nazionale femminile, 27 anni questo 11 luglio e una massa di capelli neri su un bel viso dai lineamenti gentili.
Giada che ama la battaglia, non si tira indietro se c’è da mettere il fisico, ma che non disdegna di giocare anche nello spazio, di muovere la palla.
Giada che guida ogni giorno da Colorno a Brescia, un’ora e mezza all’andata, altrettanto al ritorno, e in macchina pensa, un po’ si annoia, e magari a forza di pensare, alle partite, all’infortunio, si fa venire anche un po’ di tristezza, di malinconia, calcolando quanti giorni mancano al ritorno in gioco. “Metto la musica, mi distrae, mi fa compagnia – racconta -. Ascolto di tutto. Un nome? Forse Pino Daniele che canta i suoni e le parole della Campania. Una terra che amo, anche se sono un po’ brasiliana, ma i brasiliani hanno più di una cosa in comune con i campani, sono allegri, spensierati, anche il Brasile è casa mia”.
Giada che ha cominciato a giocare a rugby a scuola, prima un po’ di calcio, di pallavolo, di nuoto, ma quando ha avuto la palla ovale in mano non la più mollata. “All’inizio ero più grande, più forte delle altre. Adesso non posso certo dire di essere tra quelle più grosse a livello internazionale. Il rugby mi è subito piaciuto perché è uno sport completo, c’è il contatto fisico, c’è bisogno di abilità tecniche, devi essere brava a prendere le decisioni giuste al momento giusto, insomma c’è tutto”.
Sul rugby femminile: “Il rugby è rugby. Non c’è un rugby maschile e un rugby femminile. Ci sono partite degli uomini giocate malissimo, noiose, ma nessuno dice niente. Poi, quando lo giocano le ragazze, le analisi sono spietate, e c’è chi non aspetta altro per dire: non è uno sport da donne. Io dico: se una partita non ti piace non la guardare, nessuno ti obbliga. Ci sono un sacco di gare, di avvenimenti sportivi, maschili e femminili, che non sono divertenti da seguire”.
Giada cui non dispiace nemmeno il calcio, è juventina. “Vabbè, quest’anno ci accontentiamo della Coppa Italia vinta dalle ragazze, contro la Roma”, sorride.
Giada che non ci sarà contro la Spagna, il 22 luglio a Piacenza, nel match-spareggio che vale l’accesso alla divisione due del WXV. “La Spagna è una squadra molto fiera – dice -. Sulla carta, se prendiamo la partita che abbiamo disputato contro di loro a febbraio (22-5 per le Azzurre, ndr), le favorite dovremmo essere noi. Però poi quando in palio c’è qualcosa le motivazioni cambiano e bisognerà essere molto concentrate. Dobbiamo anche vedere se loro decideranno di schierare quelle atlete che ultimamente avevano prestato al Seven. Certo la data non è ideale: a luglio normalmente si stacca, anche quelle che hanno un lavoro e possono finalmente andare un po’ in ferie. Poi, per quelle che hanno disputato la finale del campionato (lo scorso 3 giugno, ndr), cade proprio in mezzo alla ripresa della preparazione. E c’è il rischio che per alcune la partita arrivi troppo presto o, se non hanno riposato abbastanza, che ci sia ancora la stanchezza dell’ultima parte della stagione. Ma sono comunque sicura che tutte si faranno trovare pronte a dovere”.
Giada che non cerca alibi, l’ultimo Sei Nazioni non è andato come doveva: “Ovviamente c’erano molte attenuanti: il torneo arrivava dopo la Coppa del Mondo, qualche figura di riferimento aveva dato addio alla squadra, avevamo un nuovo coach e dovevamo metabolizzare un nuovo modo di giocare. Tutte sfide che eravamo ben disposte ad affrontare, ma tuttavia una vittoria sola non basta, non era quello che volevamo”.
Differenze tecniche tra Andrea Di Giandomenico, che aveva guidato l’Italia per dodici stagioni, e Nanni Raineri che ha preso il suo posto nel 2023? “Diciamo che il gioco di Andrea si basava più sulla capacità di leggere le situazioni, di trasformare rapidamente la difesa in attacco, mentre Nanni privilegia strategie più strutturate. È diverso, però non voglio dire che è difficile, ci vuole tempo e a volte non hai a disposizione tutto il tempo necessario per assorbire il nuovo”.
Soprattutto se la conquista scricchiola – osserviamo – e se in touche vinci pochi palloni come è successo nel Sei Nazioni. E se poi subisci in mischia, come ci capita sempre più spesso in un rugby che privilegia i muscoli e una fisicità a doppie dimensioni…
“Sulla fisicità è vero che ci sono squadre, come l’Inghilterra, che puntano molto sul peso delle avanti e sulla spinta del pack, però ce ne sono anche come la Nuova Zelanda che, alla fine, hanno dimostrato che si può giocare in un’altra maniera. Noi non abbiamo certi fisici, però in determinate situazioni quello che perdi in potenza, lo puoi guadagnare in dinamicità. Tutto sommato non ne farei una questione. Quanto alla touche è vero che abbiamo sofferto. L’addio di Melissa (Bettoni, ndr) ha messo più responsabilità sui lanci di Vittoria (Vecchini, ndr), che in passato non aveva giocato con tanta continuità a livello internazionale. Quindi anche per lei è stata un’esperienza nuova. Non è facile lanciare in certi momenti topici del match, con le avversarie che ti hanno studiato e cercano di contestare la touche. In campionato un errore te lo perdonano, nel Sei Nazioni no”.
Giada che ha due modelli, Maggie Alphonsi (74 presenze, 28 mete con la maglia dell’Inghilterra, con cui vinse la Coppa la del Mondo del 2014, ndr) e Ardie Savea, il numero 8 degli All Blacks. “più che altro mi piace come interpretano il gioco”, spiega.
Giada che ha fatto collezione di emozioni, difficile fare una graduatoria: “L’incontro con mio madre Rosy, a bordo campo, dopo la partita d’esordio al Mondiale, lei venuta a sostenermi fino in Nuova Zelanda, io e lei strette in un abbraccio, dall’altra parte del mondo, una sensazione che mi porterò dietro per tutta la vita. E poi la prima partita in Nazionale, contro l’Irlanda, nel 2018, lo scudetto con il Colorno (sempre nel 2018), la prima con gli Harlequins…, il rugby inglese, dove c’era tutto quello che serviva per essere professioniste fino in fondo. Peccato che quell’avventura si sia conclusa in anticipo per il covid”.
Il prossimo Mondiale, nel 2025 in Inghilterra, sarà ancora più difficile con 16 squadre invece di 12. Non abbiamo ancora stabilito i nostri obiettivi, ma certo il traguardo è sempre provare a migliorare”.
Il WXV: “È una nuova formula che ci permetterà di affrontare squadre con le quali non ci misuriamo abitualmente. Potrà essere un’occasione per crescere ulteriormente”
Lo slogan con cui le redarguiva Andrea Di Giandomenico: “Non fate le femmine”. “Messaggio sempre fortemente condiviso – dice Giada -. Voleva dire, tirate fuori il vostro orgoglio, il vostro coraggio di donne. Non mollate mai”.
Giada che ribadisce “essere donne è fondamentale, ma non deve oscurare il merito. Dobbiamo conquistare i nostri diritti, nessuno ce li deve regalare solo perché la parità è di moda”.
Giada “è mille culure”, Giada “è mille paure”, come canta di Napoli Pino Daniele. Giada lavora per tornare più forte di prima.
Foto: Stefano Delfrate – Wikimedia