Piccoli sprazzi di azzurro nel cielo grigio di una Roma che ha riservato agli All Blacks un’accoglienza tiepida: all’Olimpico i numeri uno del rugby mondiale hanno avuto meno pubblico del Boddø/Glimt, squadra di calcio norvegese per la quale si erano mobilitati in quarantamila due giorni prima.
“Oggi abbiamo segnato una linea sulla sabbia, si parte da quanto fatto in campo per costruire il nostro futuro”, ha detto Kieran Crowley, all’esordio come ct azzurro, dopo il match finito 9-47 per la Nuova Zelanda.
In formazione ampiamente rimaneggiata (nel quindici di partenza degli ospiti nessuno di quelli che sette giorni fa avevano affrontato il Galles da titolari), i neozelandesi sono stati spesso imprecisi con la palla in mano e insolitamente fallosi nelle aree di scontro: negli ottanta minuti hanno concesso ben 16 calci di punizione, un’enormità a livello internazionale, così come sono stati tantissimi i 15 palloni regalati in turnover all’Italia. L’aggressività degli azzurri ha tolto spazio e tempo agli avversari, impedendo loro le volate in campo aperto che spesso li rendono spettacolari. Frustrati dalla pressione dell’Italia gli All Blacks a un certo punto hanno preso atto delle difficoltà che gli poneva lo spartito e hanno scelto di provare a imporsi con la forza anziché con cercare di bucare in velocità. Ne sono scaturite tre mete (due del tallonatore Coles), poco prima del riposo, tutte da distanza ravvicinata. Nella ripresa, Azzurri capaci di avvicinarsi fino al 9-21, salvo arrestare la propria rincorsa ai piedi dell’ultima erta finale. Ne venti minuti conclusivi, quando sull’Olimpico ha cominciato d’improvviso a piovere, la squadra neozelandese ha segnato quattro mete in successione.
I piccoli sprazzi di azzurro sono:
Il risultato, 9-47, che migliora quelli delle ultime, più recenti sfide tra le due squadre, finite con punteggio medio di 6-67 per i Tuttineri. E Tonga, una squadra che è soltanto un posto dietro l’Italia nel ranking, quest’estate, contro gli All Blacks, aveva perso 102-0.
I 192 placcaggi degli Azzurri, dei quali soltanto 20 mancati, con un tasso di successo del 90%.
Il 50% di territorio nel primo tempo, poi calato a 30% nella ripresa, quando la fatica ha cominciato a presentare il conto.
I 109 metri corsi palla in mano da Monty Ioane che, insieme, ai 6 avversari diretti battuti nello scontro individuale ne fanno il giocatore più efficace fra tutti i 46 scesi in campo, neozelandesi compresi.
I 14 placcaggi di Marco Riccioni, senza alcun errore, i 12 di Ivan Nemer (uno mancato) all’esordio internazionale in un match certamente non facile. E ancora i 15 di Negri e Sisi, i 13 di Lamaro e Steyn, segno di una squadra disposta al sacrificio e ben equilibrata nello sforzo difensivo.
L’Italia ha difeso con coraggio, ma ha creato poco, anzi pochissimo, palla in mano. Se la difesa è l’ABC del gioco, i prossimi passi impongono che dopo la grammatica si affrontino anche la sintassi e la composizione. Mischia (6 vinte su 9, grave quella persa a 5 metri dalla propria linea di meta che ha portato alla marcatura di Christie, la prima della partita) e touche (10/15) vanno registrate.
Battuti ma non affondati, gli Azzurri, fossero stati sul ring, avrebbero chiuso il match in piedi. Di questi tempi non è poco. Ma per il futuro, a partire dall’Argentina, ci vuole un passo in avanti. Sennò, per riprendere la metafora di Crowley, si resta in permanenza a mollo sulla battigia.