Conor O’Shea vede la luce in fondo al tunnel. Un tunnel del quale però in questo momento non si conosce la lunghezza. Quanto ci vorrà a percorrerlo tutto? Anni, ipotizziamo. Il ct azzurro ha parlato di un progetto che non guarda solo ai Mondiali del 2019, ormai dietro l’angolo, ma addirittura a quelli del 2023. Pare che il coach irlandese stia seriamente pensando ad allungare il suo contratto con l’Italia di altri quattro anni. La Fir glielo avrebbe proposto e lui sarebbe intenzionato a dar seguito a un lavoro i cui frutti non si vedranno tanto presto.
Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?
Quello appena trascorso è stato l’autunno più “arido” in fatto di mete: una sola all’attivo, nel primo Test, l’unico vinto, quello con le Fiji a Catania. Al passivo invece ne contiamo 9. Nel 2016 (Nuova Zelanda, Sudafrica e Tonga) le mete segnate dall’Italia erano state 5, quelle subite però 13, dieci delle quali contro gli All Blacks.
Nel 2014 (coach Brunel, partite con Samoa, Argentina e Sudafrica), gli Azzurri avevano segnato due mete (entrambe contro Samoa) e ne avevano subite 6.
Nel 2013 (Australia, Fiji e Argentina), 8 a favore e 13 contro.
In questo autunno, delle 10 “Tier one” (Sei Nazioni più Rugby Championship), solo l’Inghilterra con l’Argentina, il Sudafrica con la Francia, l’Italia con le Fiji e il Galles con la Georgia sono riuscite a vincere una partita segnando meno di tre mete.
Cosa c’è di positivo quest’anno, dunque?
Il sistema, dice l’allenatore, il progetto, l’organizzazione su cui lavorare. Gli crediamo.
Dei giovani lanciati in questo autunno, Licata, Giammarioli, Minozzi sentiremo (speriamo!!) ancora parlare. Altri ne arriveranno nel breve futuro (Riccioni, Pettinelli…), la strada è tracciata.
Cosa manca ancora?
Il possesso è il dato migliore da cui ripartire nel 2018. In due partite su tre (Fiji e Sudafrica) il possesso è stato nettamente a nostro favore. Mischia e touche hanno tenuto botta sia contro i Pumas che contro gli Springboks, due formazioni con grande cultura del gioco degli avanti. Vuol dire che da questo punto di vista la squadra c’è.
Abbiamo palloni da giocare che ancora però non sappiamo utilizzare a dovere.
Contro il Sudafrica gli Azzurri hanno perso (6-35) una partita in cui hanno subito l’enorme prestanza fisica degli avversari: i nostri hanno completato negli 80’ circa 150 fasi, con un avanzamento medio di un metro e mezzo ogni azione. Gli Springboks di fasi ne hanno costruite meno di cento, ma con un avanzamento medio di 3 metri e mezzo ogni volta. Ecco la differenza: manchiamo di penetrazione in attacco e, alla lunga subiamo il maggior peso degli avversari. La difesa però non “sbraga”: in campo aperto (a parte quella di Venter su cross al piede di Pollard) non ci hanno segnato nemmeno una meta, rispetto al passato è un dato a nostro favore. E dei 130 placcaggi effettuati gli Azzurri ne hanno completati 108 (83%). Il Sudafrica ha fatto ancora meglio: oltre 200 placcaggi, con un tasso di successo del 91%. Non stupisce che il coach Allister Coetzee dopo il match fosse contento. Una prestazione chirurgica – ha detto – la migliore dei suoi quest’anno. Quando mai l’Italia aveva costretto il Sudafrica a una difesa tanto efficace?
I dati ovviamente mettono in mostra anche le carenze del gioco d’attacco dell’Italia, incapace di uscire dal frontale e di proporre linee di corsa efficaci, cambi d’angolo e penetrazioni capaci di far male agli avversari. È il problema più grosso, oggi. Se ne occuperà Wayne Smith, ma da giugno…
Il gioco al piede
L’altro problema grosso dell’Italia è il gioco al piede: Hayward ha avuto tre partite per giocarsi le sue chance. Ma è andato calando, invece di prendere confidenza. E anche la mediana deve migliorare le strategie di uscite dalle aree critiche del campo. Non si può giocare alla mano partendo dalla propria linea di meta. È una questione di strategia, ma anche di esecuzione: per mettere la palla nei cinquanta metri avversari occorrono precisione di piede e capacità di recupero e pressione. Altrimenti vuol dire regalare il possesso e subire le ondate degli attacchi altrui.
Contro gli Springboks l’Italia ha calciato 24 volte guadagnando in tutto 630 metri. Il Sudafrica lo ha fatto 36 volte per 998 metri: ci sono 350 metri di differenza nel gioco al piede delle due squadre.
L’Argentina
Contro di noi l’Argentina ha saputo conservare il possesso nonostante abbia sofferto (soprattutto nel primo tempo) sia in mischia che in touche. Sanchez ha ben orchestrato le operazioni, con i piedi e con le mani, e la loro occupazione del campo ha permesso di mettere in difficoltà la nostra difesa più di quanto abbiano fatto le Fiji e i ‘Boks. I Pumas hanno provato a fare lo stesso con l’Irlanda, ma dietro hanno trovato un Kearney micidiale nei contrattacchi con Sexton e Murray registi, non per niente, erano la mediana dei Lions in Nuova Zelanda…
In ogni caso l’Argentina ha segnato tre mete anche all’Irlanda, come già aveva fatto con l’Italia. E ha finito forte, come aveva fatto contro di noi, con due mete negli ultimi 10’.
La differenza a favore dei verdi l’ha fatta la capacità di essere concreti quando hanno avuto la palla in mano.
Gli irlandesi contro i Pumas hanno effettuato più di 110 fasi nel complesso del match, ma l’avanzamento medio è stato superiore ai tre metri per ciascuna di esse. Torniamo al punto iniziale, non si vince se non si fa strada palla in mano.
In realtà le statistiche dell’Italia contro l’Argentina non sono inferiori a quelle dell’Irlanda (anche l’avanzamento medio degli Azzurri contro i Pumas è stato di oltre tre metri per azione. Più che con gli Springboks e le Fiji). La differenza l’ha fatta la qualità delle esecuzioni individuali e la capacità di tenere il possesso a lungo: a Firenze, l’Italia non ha completato più di 100 fasi, l’Argentina 150…E un esordiente come Jakob Stockdale, classe 1996, ala da 1.91 per 102 chili, due mete da manuale ai Pumas, ce l’ha l’Irlanda, non noi.
Che fare?
Serve ulteriore crescita fisica (ma siamo sulla buona strada) per reggere con maggior forza l’impatto con gli avanti.
Bisogna allargare la rosa, per avere maggiore concorrenza. Anche qui il processo è in corso.
E bisogna lavorare sulle strategie di attacco, le attuali non funzionano, né collettivamente né a livello di esecuzione individuale. La crescita passa anche attraverso il recupero di giocatori infortunati, o esclusi, come Campagnaro, Morisi e Padovani, la cui assenza non è stata assorbita a cuor leggero.
Sul resto non c’è molto da illudersi: l’Argentina (l’Argentina!!!), delle ultime venticinque partite ne ha vinte: due con noi, una col Giappone, una con la Georgia, una col Sudafrica e una con la Francia. Il bonus con gli Springboks noi ce lo siamo giocati un anno fa a Firenze: battere il Giappone (la prossima estate), la Georgia (il prossimo autunno) e, chissà, magari la Francia al Sei Nazioni (se i “coqs” vanno avanti così…) è tutto quello che ragionevolmente possiamo sperare. Stiamo recuperando lentamente – dice O’Shea – i vent’anni di stasi. Ci siamo rimessi a camminare nel momento in cui gli altri hanno preso il volo.
Le distanze sono lunghe da colmare.
Nelle foto (Daniele Resini/Fotosportit), una carica di Renato Giammarioli contro il Sudafrica.