Di Gianluca Guidi
Mi è stato chiesto di analizzare le sfide dell’estate dal punto di vista tecnico. Ci provo.
Partiamo dalla Nuova Zelanda: la prima cosa da prendere in considerazione è che si tratta di una squadra composta da giocatori con caratteristiche eccezionali dal punto di vista fisico, di velocità e di polivalenza.
Questo fa sì che, sia in attacco che in difesa, il loro sia un gioco semplice, ma estremamente efficace, nell’avanzamento, nell’utilizzo del pallone e dello spazio. Tutti sanno fare bene tutto, sanno leggere bene le situazioni e tutti hanno caratteristiche che stanno, se posso usare un modo di dire, nella stessa pagina del dizionario. Non è che i piloni stanno in un capitolo e i trequarti in un altro. La cosa che ne consegue è che da ogni giocata, da ogni movimento può scaturire un’azione per segnare. C’è sempre avanzamento e continuità nel farlo. E le loro abilità permettono transizioni molto efficaci: da una situazione difficile sono in grado di produrre un’improvvisa esplosione in attacco difficile per chiunque da fermare.
Il gioco europeo dà molta più importanza di quello neozelandese, invece, alla conquista. Non che gli All Blacks non siano interessati al possesso di palla, semplicemente per loro le fasi statiche sono un modo per dare l’avvio al gioco. Anche loro sanno interpretare bene mischia e touche ma non gli danno un valore psicologico, non le considerano momenti con cui marchiare partita, attraverso i quali prendere il sopravvento sugli avversari. Da noi se perdi due mischie scatta il panico, l’idea che stai perdendo la battaglia. Per i neozelandesi sono solo due palloni persi, non è la violazione della tua identità, del tuo orgoglio.
In Europa c’è una considerazione molto più strutturata del rugby, più strategica, frutto della nostra storia, del nostro modo di pensare. I neozelandesi fanno cose più semplici, si affidano alle loro qualità individuali.
Faccio un esempio: c’era molta curiosità nel vedere come Gatland avrebbe scelto gli avanti e, di conseguenza, quale strategia avrebbe usato in rimessa laterale. Alla fine, con Faletau numero otto e un flankler d’impatto come O’Brien, per avere un saltatore in più ha dovuto lasciare in panchina Warburton, il capitano del tour, e schierare O’Mahony a 6, un giocatore capace di leggere i lanci avversari. In seconda linea, invece a fianco di Alun Wyn Jones, i Lions hanno optato per Kruis, un altro saltatore. Itoje in panchina può avere un impatto sia in seconda che in terza linea e offrire un’altra combinazione di salto, a seconda di come andranno le cose in touche: lui e Kruis si intendono perfettamente visto che giocano entrambi nei Saracens.
Gli All Blacks non hanno questi problemi: Kieran Read salta come Itoje, porta palla come Vunipola e recupera come Warburton, e sia che metti Scott Barrett o Kaino a numero 6, e Cane col 7, hai un reparto che può fare tutto. Se poi ci aggiungi Retallick e Whitelock in seconda linea, che hanno mani, chili ed eccezionali qualità atletiche, non c’è bisogno di inventare molto altro. Idem, se mettevi Ardie Savea o Luatua.
È ovvio che se vuoi lanciare un attacco in velocità da touche il modo migliore per farlo è giocare sul fondo dello schieramento, ma questa possibilità per i Lions è condizionata dalle caratteristiche dei giocatori che metti in campo. Mentre per gli All Blacks questo problema in pratica non esiste. Chiunque scelgano avrà le qualità per qualsivoglia soluzione tattica.
Anche in difesa loro hanno un’organizzazione più semplice della nostra perché tutti placcano, difficilmente riesci a creare un “uno contro uno” decisamente a tuo favore.
La difesa come tutti sanno non è la caratteristica più importante del Super Rugby, vedi grandi placcaggi, ma quelli sono frutto di tecnica individuale più che di strategia di squadra.
Il “choke tackle”, il placcaggio in piedi per indurre il turn over, è un marchio di fabbrica irlandese, ma anche del modo di difendere dei Saraces, di Farrell (Andy, il padre di Owen, ora nello staff dell’Irlanda e dei Lions). I gallesi con Shaune Edwards a volte triplicano addirittura il placcaggio, come nelle Rugby League, per vincere la collisione. Gli All Blacks la fanno molto più facile, densità se l’attacco è frontale, spostamento laterale se il gioco va al largo, fiducia completa nelle qualità dei singoli.
La ruck l’hanno inventata loro: salita aggressiva, pochi raddoppi, palla a terra, battaglia sul punto di incontro cercando di recuperare il pallone impiegando il minor numero possibile di uomini.
Nell’emisfero nord persiste l’idea che le partite si vincono davanti, i neozelandesi invece sono bravi a trovare soluzioni in ogni parte del campo, giocano con quindici allenatori, tutti sanno approfittare al meglio di ogni situazione che gli si presenti a disposizione.
Quello che sarà interessante sarà capire come Gatland deciderà di impostare il gioco dei Lions. Quello del Galles per anni si è basato sulla “Warrenball” che consisteva nel mantenere la squadra in avanzamento permanente grazie alle penetrazioni frontali di Jamie Roberts o North o Faletau. Alla fine si creava un “mismatch” che permetteva di segnare.
La scorsa estate (2016, ndr) in Nuova Zelanda questa strategia però non ha dato frutti: in primo luogo perché Barrett è un 10 che non ha problemi a difendere, nemmeno se deve misurarsi con un giocatore della potenza di Jamie Roberts e poi perché gli All Blacks sono i più veloci a ripiazzarsi e non soffrono i movimenti avversari. Alla fine il Galles, nelle tre partite, ha subito 16 mete e ne ha messe a segno 5.
Il gioco irlandese invece è frutto di una preparazione maniacale e cerca lo spazio attraverso diversi lanci di gioco che alterna nel corso della partita.
A Chicago, quando hanno battuto gli All Blacks, li hanno attaccati davanti, con Toner e Ryan, li hanno messi in difficolta frontalmente, raggruppamento penetrante, touche, mischia, togliendo loro alcune certezze e costringendoli ad arretrare. Gli hanno tolto la possibilità di avanzare.
La forza dell’attacco neozelandese è il gioco multifase. Più sequenze di gioco sono in grado di produrre più è facile che gente come Ioane, Ben Smith, Dagg (ma era la stessa cosa se mettevi Julian Savea o Naholo…) trovi lo spazio per fare la differenza. Sono giocatori che battono regolarmente l’avversario diretto, lo fanno in ogni partita, in Nazionale e nel Super Rugby. Devi solo creargli un po’ di spazio per metterli in moto. Hanno qualità eccezionali di cui i Lions non dispongono: North, Watson, Daly non sono la stessa cosa. È per questo che le squadre europee si affidano a strategie più complesse.
Ed è questo uno dei motivi per cui spesso i neozelandesi che vengono in Europa a giocare da noi si lamentano che qui ci si allena troppo. Noi cerchiamo di sopperire col lavoro a quello che loro hanno per doti naturali. È una bella differenza.
L’attacco neozelandese sfrutta molto i due playmaker, come fanno i Crusaders con Mo’unga e Crotty. Negli All Blacks a fianco di Crotti c’è uno come Barrett!!
L’apertura gioca su una prima pattuglia penetrante che assorbe la difesa rovesciata e la neutralizza, alle sue spalle Crotty gioca la nuova fase e innesca i Ben Smith, i Dagg le cui accelerazioni sono devastanti nello spazio.
Per me i Lions devono provare a replicare lo schema dell’Irlanda a Chicago cercando di mettere dei dubbi nella sicurezza dei neozelandesi, provando a togliergli certezze là davanti ed eventualmente prendendoli in contropiede sul ripiazzamento in profondità che è una delle fasi dove forse gli All Blacks fanno meno attenzione. Liam Williams, Watson e Daly credo sia stati scelti proprio in funzione di questa strategia.
La vera cosa difficile è pareggiare la loro intensità, che non è un fatto di preparazione atletica, ma un istinto innato. Il ritmo del gioco i neozelandesi ce l’hanno nel sangue, per loro è naturale, non hanno bisogno di allenarlo.
New Zealand: Ben Smith; Israel Dagg, Ryan Crotty, Sonny Bill Williams, Rieko Ioane; Beauden Barrett, Aaron Smith; Joe Moody, Codie Taylor, Owen Franks; Brodie Retallick, Sam Whitelock; Jerome Kaino, Sam Cane, Kieran Read (c)
in panchina: Nathan Harris, Wyatt Crockett, Charlie Faumuina, Scott Barrett, Ardie Savea , TJ Perenara, Aaron Cruden / Lima Sopoaga, Anton Lienert-Brown
British & Irish Lions: Liam Williams, Anthony Watson, Jonthan Davies, Ben Te’o, Elliot Daly, Owen Farrell, Conor Murray; Mako Vunipola, Jamie George, Tadhg Furlong, Alun W Jones, George Kruis, Peter O’Mahony (cap), Sean O’Brien, Taulupe Faletau.
In panchina: Ken Owens, Jack McGrath, Kyle Sinckler, Maro Itoje, Sam Warburton, Rhys Webb, Jonny Sexton, Leigh Halfpenny.
Nella foto di Hannah Peters/Gettyimages, un attacco di Ben Te’o con Sean O’Brien in sostegno, nel match contro i New Zealand Maori