Dibattito ozioso quello che si è innescato nel rugby italiano dopo le parole di O’Shea: il ct dell’Italia (ma forse chiamarlo ct e è un po’ riduttivo…) ha chiesto di mettere la Nazionale al centro di tutte le strategie ovali. Sbaglia? Ai distratti bisogna ricordare che da noi non esiste un’alternativa al modello “centralista”: in Italia i privati investono nel movimento, al netto del budget Fir, una cifra che abbiamo calcolato per eccesso di poco superiore ai 35 milioni di euro in totale, un quarto del valore di un calciatore come Pogba. Siamo un paese in cui il campionato di Eccellenza (cento chilometri di raggio per otto squadre) non arriva in novantacinque partite a centomila spettatori in totale, quasi quanti quelli che in Francia e in Inghilterra assistono alla finale. Esistono mezzi per attivare più risorse, più pubblico, più interesse e più sponsor? L’unico è una Nazionale che vinca un po’ di più, riempia l’Olimpico, attiri gli investimenti, invogli le famiglie a portare i ragazzi al rugby. Può non piacere, ma è così.
Prima di entrate nel Sei Nazioni il budget della Fir era meno di un quarto di quello attuale (circa 10 milioni di € nel 2000, di cui 2,7 di contributo CONI) e la Nazionale giocava in stadi come quelli di Treviso, Rovigo, L’Aquila dove quando andava bene metteva insieme 10/15 mila mila spettatori. Unica eccezione Italia – Sudafrica del 1995 a Roma.
Oggi le cose sono cambiate, ma solo al vertice: da noi chiunque voglia avviare un’iniziativa in campo rugbistico, a qualunque livello, prima o poi finisce per andare a tirare la giacca della Fir.
Lì sono andate a parare le nostre ambizioni celtiche, da Treviso, alle Zebre, passando per gli Aironi. E anche la squadra campione d’Italia, il Rovigo, lamenta di non poter pagare gli stipendi se non arriva il contributo federale. Questa è la realtà. Il problema è che il budget della Fir è la metà di quanto il Top 14, il campionato francese, incassa di diritti Tv in una sola stagione. E i diritti della Premiership non così sono lontani.
Distribuire a pioggia una trentina di milioni fra i quasi 600 club d’Italia vorrebbe dire disperdere le risorse in mille rivoli senza risolvere alcun problema.
O’Shea chiede che le risorse vengano concentrate sulla Nazionale per farne una leva a vantaggio di tutto il movimento. Investire sulla base sarebbe saggio, ma con quali mezzi e quali prospettive, quale controlli, quali obiettivi?
Che poi quello che viene fatto oggi si possa fare meglio e con meno sprechi, questo è fuor di discussione. Ma ignorare che la Nazionale è insieme la nostra cassaforte e la nostra miniera, quello sì è un grave errore.
Quanto a O’Shea è uomo abituato a fare del pensiero azione. Gli ego cui si è riferito dopo Scozia – Italia probabilmente non hanno nome e cognome, la sua è un’accusa che punta il dito verso un “sistema” che prevede ogni poco soste, pause, compensazioni. Con tanti soggetti coinvolti ad ogni stazione e la necessità di molti padrini per ogni decisione.
Ha chiesto uno specialista per i lanci in touche, l’avrà, uno preparatore atletico straniero, avrà anche quello. Ma forse ha bisogno anche di meno interlocutori: la sua idea è poter muovere le pedine rapidamente sulla scacchiera formata da accademie, franchigie, Nazionale. Poi potrà anche sbagliare, ma almeno la responsabilità sarà tutta sua.
Prima di spazientirsi troppo gli consigliamo di leggersi il “Gattopardo”. Capirà perché da un paio di secoli siamo specialisti nel cambiare tutto per non cambiare niente.