La sconfitta con l’Irlanda, il terzo passivo più pesante subito dall’Italia nella storia del Sei Nazioni (dopo il 23-80 contro l’Inghilterra, nel 2001, e il 14-67 con il Galles, un anno fa), impone di compiere anche una piccola disamina tattica del modo in cui la Nazionale ha affrontato il campo nelle prima due partite del Torneo.
Innanzitutto la scelta di fondo: O’Shea e Venter hanno deciso che il modo più sicuro, per i nostri, di risalire il campo è quello di spedire la palla nei cinquanta metri avversari e poi andare a mettere pressione sui portatori di palla con una difesa alta e un muro ben organizzato per tutta la larghezza del campo.
È una strategia difensiva che Venter ha collaudato nelle sue diverse esperienze e che tutto il mondo gli riconosce. Uno dei capisaldi è focalizzare l’attenzione sul pallone, non sugli avversari, in modo da muoversi orizzontalmente un po’ come la linea del calcio balilla.
L’obiettivo è indurre la squadra in attacco all’errore, oppure costringerla a calciare nuovamente in avanti, in modo da approfittare del ping pong per guadagnare spazio e terreno in una estenuante guerra di posizione.
A monte c’è la convinzione che sia più facile avanzare senza palla che farlo giocando il pallone alla mano.
Questa tattica non ha funzionato né con gli All Blacks (64% di territorio e 62% di possesso per i Tuttineri) a novembre, e nemmeno con l’Irlanda (72% e 66% per i verdi nel solo primo tempo): il risultato è stato pressoché uguale 10-68 contro i neozelandesi (10 mete a 1), 10-63 contro gli irlandesi (9 mete a 1).
Ha funzionato bene col Sudafrica e per 45 minuti contro il Galles. La differenza è che con gli Springboks il tasso di successo sui placcaggi e stato dell’87% mentre con All Blacks è arrivato soltanto al 70% (45 errori su 152, frutto della capacità dei neozelandesi di giocare nello spazio) e con l’Irlanda siamo, sì, arrivati all’80% ma i placcaggi cui ci hanno costretto i nostri avversari sono stati oltre 200, e quindi gli errori circa 40. Abbastanza per concedere metri e mete.
Il Galles per esempio, nel primo tempo (7-3 per noi) aveva avuto una supremazia territoriale e di possesso minima, il 54%, salita rispettivamente al 72% (possesso) e al 76% (territorio) nella ripresa quando abbiamo patito un parziale di 33-0.
In questi numeri si nascondo alcuni punti di domanda: con gli All Blacks abbiamo regalato possesso e territorio e abbiamo subito la maggiore tecnica e la chirurgica capacità di evitare i placcaggi nostri avversari. Con l’Irlanda, tenere la palla in campo ci ha sottoposto a un bombardamento di tale intensità che alla fine le nostre forze sono svanite e abbiamo subito quattro mete negli ultimi 12 minuti della partita.
In touche, del resto, a parte Parisse (1.95), non avevamo uomini per contrastare il lancio avversario: né Van Schalkwyk (1.94) né Fuser (1.98) riuscivano a impensierire Toner (2.11) e Ryan (1.98) e Heaslip (1.93) se la giocava alla pari con il nostro numero 8. Biagi e Steyn, più votati al gioco aereo sono entrati solo nella ripresa.
Il risultato è stato che tenendo la palla in gioco quasi mai siamo riusciti ad andare a bloccare il contrattacco nella loro metà campo a abbiamo sottoposto la nostra difesa a uno sfiancante martellamento cui non siamo riusciti a mettere pausa. Una touche ogni tanto ci avrebbe permesso di prendere fiato e riordinare le idee.
In altre parole, abbiamo combattuto come Alì contro Foreman nelle prime sette riprese del match di Kinshasa, ma senza essere…Alì e senza avere in serbo il colpo del ko.
Per una tattica così serve una difesa arrembante, grande occhio e grande concentrazione e, a quel punto, non serve un numero 10 come Canna, la cui dote migliore è attaccare la linea con giocate improvvise.
La guerra di posizione senza palla, come spesso accade a chi è costretto a inseguire le ombre, ci ha ucciso: abbiamo effettuato la metà dei passaggi dell’Irlanda (134 contro 255) e percorso un terzo dei loro metri palla in mano (201 contro 653).
Metteteci anche che dalla stragrande maggioranza delle 119 ruck impostate dagli irlandesi il pallone è uscito quasi sempre molto rapidamente, l’Italia non ha mai provato a contrastare o a rallentare il gioco. Eppure da una maul avanzante è venuta l’unica nostra meta (tecnica) della partita. Forse ci saremmo dovuti affidare un po’ di più alla rimessa laterale e all’avanzamento penetrante, quanto meno per ridurre la pressione sulla difesa. Insomma il dubbio è che con la tattica scelta dal nostro staff si sia indicata una via, ma non individuato lo strumento in questo momento migliore per una sopravvivenza immediata. Forse un giorno anche noi avremo le caratteristiche per difendere a quella maniera. Ma la strada è lunga e nel frattempo, che fare?
(Nella foto Giovanbattista Venditti fermato da due irlandesi – Fotosportit)