Nuova Zelanda ingiocabile per gli azzurri ma certamente ci abbiamo messo del nostro perché il passivo abbia raggiunto 10 mete e 68 punti. Di solito quando si è underdog, si cerca di sorprendere l’avversario nel momento in cui meno se l’aspetta. Recuperando un pallone e calciandolo nel buco lasciato dall’estremo impegnato in attacco, rubando una touche e approfittando dello schieramento profondo dell’altra linea, rimasta in attesa di un un ovale che non arriverà mai. Si improvvisa con intelligenza, si cerca un vantaggio dove in teoria non ci sarebbe e poi, ci si prova. È quello che avremmo voluto vedere fare agli Azzurri all’Olimpico contro gli All Blacks, perché non si trattava di vincere, ma di crederci e di sorprendere, loro come i 60mila sulle tribune. Purtroppo dopo una prima touche convincente presa in fondo da Parisse, è sceso il buio sulla rimessa azzurra, normalmente una fonte di gioco abbastanza sicura. Le statistiche dicono che ne abbiamo perse quattro su quattordici, contando anche quella sfuggita in avanti a Bronzini. La prematura uscita di Ghiraldini non ha certo aiutato a ricalibrare lanci e prese. Perdendo l’ovale in questa circostanza i ragazzi di O’Shea si sono spesso trovati a difendere nel momento in cui pensavano di attaccare, dovendo montare da posizione profonda su una linea di attacco neozelandese che si adeguava velocissima all’improvviso possesso dell’ovale. L’Italia ha così vissuto due incubi nella stessa partita: ha subito tutto quello che c’era da subire al cospetto dei Campioni del mondo ed è stata anche infilata in contropiede nei pochi momenti in cui avrebbe dovuto mettere in pratica il proprio game plan.
Linee di corsa e ostruzioni
. Altro capitolo meritevole di analisi sono le linee di corsa. In attacco e difesa. Perché facciamo autoscontro cercando l’impatto e non l’intervallo? Qual è l’incantesimo che impedisce ai nostri giocatori di cambiare angolo nel momento in cui si impossessano del pallone? Perché la linea del vantaggio appare una chimera anche per i nostri migliori ball carrier?
Un esempio sono le ripartenze di Dagg e McKenzie da nostro calcio: non c’è nulla di casuale nei loro movimenti e nella scelta dell’impatto: cercano costantemente l’area del campo in cui ci sono più compagni di gioco che creano ad arte un corridoio di blocchi per eludere i tentativi di placcaggio degli azzurri. E successivamente si trasformano in sostegno, destra e sinistra, dopo che il portatore ha guadagnato il vantaggio. Lo stesso avviene nelle ripartenze da ruck o da mischia, dove le terze linee oscurano la salita degli avversari. E ancora, ricordate la penultima meta di Dixon, quella vicino alla bandierina dopo il break di Aaron Smith? C’è una chiara ostruzione ai danni di Allan in posizione di guardia da parte di Retallick. Ma chiara per chi? Lo stesso Nigel Owens ha voluto rivedersi l’azione più volte prima di concedere la meta e, alla fine, ha valutato questa ostruzione: come una lotta per la difesa del pallone in ruck. Al limite, ma completamente legale. O’Shea e staff devono smaliziare i nostri ragazzi, il rischio è una frustrazione infinita in sede di video analisi post partita.
Piano di gioco
Date queste premesse anche il “game plan” si è rivelato in parte azzardato: calciare in profondità avrebbe potuto essere una buona tattica contro una squadra meno efficace nelle ripartenze. Ma contro velocisti di quel calibro, dotati in tutte le fasi di attacco e contrattacco, abbiamo finito per esporci a un bombardamento senza sosta, piede, mano, frontale, laterale. E di fonte ad assalti così non c’è difesa che tenga. Nemmeno fra le squadre del Championship, figuriamoci quella dell’Italia.
Questione di testa
La psicologia della difesa cambia se stai attendendo la ripartenza da una mischia o pensi di ricevere l’ovale da un tuo compagno. Il ritmo della corsa e il focus per attaccare e difendere sono tremendamente diversi. Trovandosi sempre in emergenza e sconfortati dalle palle perse (complessivamente abbiamo concesso 22 turnover) siamo sprofondati di fronte alla continuità di gioco degli uomini di Hansen, capaci di garantire eccellenti sostegni in attacco quando noi facciamo fatica a raddoppiare il placcaggio. Non è solo una resa quella di cui parliamo, ma di un’inferiorità tattica e mentale che l’inerzia della partita e il peso dell’avversario hanno reso insostenibile. La gestione tattica del match è da sempre un grande handicap per gli azzurri ma O’Shea deve provare a risolverlo per davvero altrimenti rischiamo di giocare troppe partite solo negli ultimi venti minuti, a risultato acquisito, una posizione ormai frustrante per tutti, giocatori e tifosi. (Federico Meda)