E’ presto per dire che le cose sono cambiate, ma lo spirito c’è
E’ presto per dire che c’è la mano di O’Shea e dei suoi collaboratori nel gioco dell’Italia vista sabato a Santa Fè contro l’Argentina (vittoria dei Pumas 30-24). Però la squadra, reduce da un disastroso finale di Sei Nazioni, è piaciuta per spirito e continuità e alcuno segnali nuovi si possono già annotare.
In prima linea Cittadini, Gega e Lovotti hanno letteralmente messo in croce gli avversari. E anche con Panico, Fabiani e Ceccarelli la mischia dell’Italia ha continuato a fare bella figura, compresa la mischia finale quando l’Italia è stata a un passo dal recuperare un pallone che avrebbe potuto rovesciare il risultato del match. I Pumas, sia pure in versione rinnovata rispetto alla passata stagione sono certamente un buon test a livello internazionale. Una superiorità così netta dell’Italia, insomma, lascia ben sperare. Anche O’Shea lo ha sottolineato.
In seconda linea, si sa, al momento le risorse sono poche. E’ il ruolo in cui servono più rincalzi. Geldenhuys e Fuser, in assenza di Furno e Biagi, sono inamovibili. Geldenhuys per cinquanta minuti ha dato peso e sostanza al reparto e anche Fuser cresce di partita in partita. A Santa Fé se la sono giocata alla pari con Alemanno e Petti.
La terza linea, Favaro a parte, è stata forse un po’ troppo timida. Barbieri è entrato dopo dieci minuti per Steyn (infortunato e già tornato in Italia), Van Schalkwyk ha giocato fino alla fine. Il numero otto è stato il giocatore che portato più volte in avanti la palla (12) ma il guadagno è stato modesto (23 metri, contro i quasi 100 di Facundo Isa, in 19 cariche). Barbieri si è limitato a sei azioni: da uomini come loro (e con la loro esperienza) si chiede di essere più presenti nel gioco per dare consistenza all’attacco. E anche sui punti di incontro l’Italia deve essere un po’ più aggressiva e più disciplinata. Con un pizzico più di cattiveria la battaglia di Santa Fè forse poteva essere vinta.
In mediana Gori e Canna hanno dato tempi e ritmo all’azione, ma con i piedi hanno quasi sempre regalato il possesso agli avversari. In difesa invece hanno lavorato con discreta efficacia, segno che in questi primi dieci giorni di lavoro la squadra si è concentrata soprattutto sui meccanismi difensivi, scelta saggia visto che contro i Pumas, sulla carta, si poteva prendere anche un’imbarcata. Favaro è stato il solito trascinatore, anche se non sempre ordinato: ha placcato, portato avanti il pallone, segnato una meta. Non si può chiedergli di più. Castello, all’esordio è stato il migliore dei difensori azzurri (dodici placcaggi). Il sistema di salita rapida ha funzionato e fino allo scoccare dell’ora di gioco ha messo pressione sugli avversari, soprattutto intorno ai raggruppamenti e in mezzo al campo. L’Italia è stata avanti a lungo e ha meritato il vantaggio.
Con i cambi l’attenzione e un po’ calata e qualche errore individuale è diventato determinante nei risultato finale.
Mc Lean è apparso rigenerato, dopo una stagione appannata: più presente in attacco ha dato un contributo positivo al gioco dei nostri ed è l’uomo che ha fatto più metri palla in mano.
Efficace nelle fasi statiche l’Italia ha ritrovato sicurezza anche nel resto del gioco. Ha concesso qualche calcio di punizione di troppo (12 contro 10) ed è mancata di lucidità quando il match poteva essere vinto, ma segnali ci sono stati. La salita rapida in difesa mette in difficoltà gli avversari e crea i presupposti per turnover e attacco. I prossimi due test (Usa e Canada) vanno vinti senza se e senza ma. Per novembre c’è tempo: ci aspettano Sudafrica e All Blacks…