In Francia abbiamo imparato una lezione: altrove la linea dei biiiip, delle censure, delle ipocrisie, dei serrati dialoghi con le redazioni all’insegna di un leniniano “che fare”, non ha ragione di essere. In fondo alla sua orazione, Sergio Parisse ha lanciato la sua bestemmia e la bestemmia viene riproposta dall’Equipe in versione originale e con traduzione francese. Nero su bianco. Senza quattro puntini dopo p, senza due puntini dopo d.
Il lungo dibattito che si è aperto con il “frocio” di Sarri, con lo “zingaro” di De Rossi, con il dito alzato e le contumelie assortite di Mancini può andare avanti e pescare nella presenza orwelliana di microfoni e telecamere, nell’interrogativo sulla necessità, sulla liceità di questo dislocamento di forze invasive. Viviamo in un mondo che si professa globale e aperto e che è piccolo, mediocre, ipocrita, dominato da una voglia di chiacchiericcio e, di pari passo, da uno sdegno a comando che, puah, disgusta.
Se vado a origliare vicino a uno spogliatoio, cosa devo attendermi? Il trio Lescano che canta “Piccolo chalet gaio come te, dietro un separé prenderemo il tè”? Un approccio del tipo “Affe mia, signori, stiamo per andare alla pugna. Come disse l’ammiraglio Nelson, mi attendo che tutti facciano il proprio dovere”? Le parole crude, empie, i moccoli variano da paese a paese.
In Inghilterra, ad esempio, la bestemmia non è contemplata, ma le raffiche di “fuck” sì: sufficiente andare a riascoltare certi inviti alla presa di coscienza di Martin Johnson che fosse nato a Padova o a Livorno avrebbe sicuramente varcato il confine che porta alla blasfemia.
Secondo testimonianze che possiamo ritenere attendibili, nel ventre dello Stade de France è avvenuta una faccenda molto semplice: c’era un piccolo ritardo, attorno al minuto, la porta dello spogliatoio è stata aperta all’improvviso e in quel momento il capitano stava chiudendo la sua perorazione, con quel forte punto esclamativo. Il microfono era là, naturalmente, e ha fatto la gioia di chi passa la vita a commentare, a lanciare ululati che purtroppo provocano vaste eco in una rete che assomiglia sempre più a una prigione.
Provate voi a vivere, provate voi a battervi, provate voi a smetterla con un’esistenza che un grande poeta chiamò terra desolata.
G. Cim.